“I politici italiani quasi si vergognano di pronunciare la parola moda”. Lo dice Carlo Capasa, presidente di Camera Nazionale della Moda Italiana (CNMI) nel corso del suo intervento al Luxury Summit organizzato da Il Sole 24 Ore e svolto oggi. Ed è lo stesso Capasa, insieme a Cirillo Marcolin, presidente di Confindustria Moda, a illustrare le richieste della moda che, dopo quello turistico, è il settore che ha perso di più con la pandemia.
Dice Capasa
“Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza può essere l’occasione per elaborare una politica industriale per il settore moda. Siamo leader nel mondo per la produzione e creatività nella moda, ma, nonostante questo, siamo stati trattati come un’industria non necessaria. I politici quasi si vergognano di pronunciare la parola moda. Il nostro Governo centrale partecipa poco alla Fashion Week di Milano. Abbiamo presentato un piano da qui a 6 anni per aumentare la competitività del settore. Comprende la richiesta di vantaggi fiscali per ricerca e sviluppo, e investimenti nella formazione. Visto che ci sono posti di lavoro vacanti perché non ci sono le figure formate. Un modellista 3D non si trova. Occorre favorire le academy aziendali”.
Dice Marcolin
“Abbiamo perso il 26% di fatturato nel 2020. Le richieste di CIG sono passate da 15 milioni a 160 milioni di ore. Al Tavolo della Moda, che è stato riconvocato dal Governo dopo 3 anni di stop, abbiamo portato le nostre richieste. A cominciare da quella delle PMI del made in Italy che chiedono l’estensione della CIG fino a fine del 2021. Le proposte si basano su 4 pilastri: innovazione, istruzione, inclusione e sostenibilità. Abbiamo chiesto risorse per la partecipazione ai saloni internazionali delle imprese e finanziamenti per le fiere di settore di proprietà delle associazioni. Priorità è agevolare il reshoring produttivo e istituire un credito di imposta sul valore delle scorte di magazzino. Inoltre, sul tema della sostenibilità, proponiamo la costituzione di una rete nazionale per la gestione e il riciclo di scarti di lavorazione e rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata. Infine, per la formazione, un rapporto scuola lavoro più stretto”.
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