È vero, come ha sottolineato il presidente di Pitti Uomo e Confindustria Moda, Claudio Marenzi che “i primi dati sul 2019 del settore moda italiano sono più promettenti del previsto”. Però, è altrettanto vero che alcuni indicatori evidenziano un rallentamento e anche il sentiment degli addetti ai lavori è impostato sulla prudenza: il 2019 sarà un anno di stabilità. È di un mese fa la notizia che il 29% delle imprese-campione intervistate da Confindustria Moda aveva dichiarato di prevedere un ricorso alla Cassa Integrazione nel breve-medio. Come aveva “tradotto” Il Sole 24 Ore, sarebbe (quasi) un’impresa su tre, ovvero più di 13.000 su un totale di 45.800. Anche il dato sull’occupazione è negativo: -0,4% nel primo trimestre. Colpa anche di un mercato italiano che rimane poco dinamico, per usare un eufemismo. Infatti, Federazione Moda Italia ha invocato lo stato di calamità per il settore. Secondo l’Osservatorio Nexi gli acquisti degli italiani con carte di credito nei negozi di abbigliamento, calzature e accessori sono calati dell’1,7% nel 2018. E nel primo trimestre 2019 troviamo gennaio a +0,2%, febbraio a -0,4% e marzo a +7,2%. Il clima ha influito negativamente sulle vendite. “Ci ha fatto saltare la stagione. Una circostanza che si ripete sempre più spesso in questi ultimi anni provocando ingenti danni economici e marginalità sempre più risicate” ha spiegato Renato Borghi, presidente di Federazione Moda Italia (Confcommercio) che ha proseguito: “Lavorando su collezioni stagionali, chiediamo che il settore venga assimilato a quello dell’agricoltura e di poter invocare lo stato di calamità del dettaglio moda“. Evitare l’aumento dell’IVA e dare più capacità di spesa alle famiglie con una riforma fiscale sono le proposte di Borghi che conclude ammonendo: “Le nostre aziende chiedono di lavorare almeno a parità di condizioni con quelle che si arricchiscono sul web senza versare un equo contributo al Paese”. (mv)
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