Greenwashing e non solo: tutti i mal di pancia del fast fashion

Greenwashing e non solo: tutti i mal di pancia del fast fashion

Non è per niente un bel momento per il fast fashion. H&M ha annunciato il taglio di 1.500 posti di lavoro e deve affrontare una nuova, pesante accusa di greenwashing. Inditex è alle prese con gli scioperi dei suoi lavoratori che reclamano più soldi in busta paga. Shein è messo sotto attacco da Greenpeace, con un report che dimostra l’uso di sostanze chimiche pericolose nei prodotti, oltre a denunciare le pessime condizioni di lavoro dei dipendenti. Tutto questo fa da cornice a un quadro economico sbiadito con utili e ricavi in calo per molti player del settore. Insomma, i mal di pancia del fast fashion sono tanti. E piuttosto significativi.

Tutti i mal di pancia del fast fashion

H&M, greenwashing e non solo

La situazione economica, l’aumento dei costi, la maggiore sensibilità verso la sostenibilità dei consumatori minacciano il fast fashion. Tutti i player del settore ne stanno facendo le spese e si stanno riorganizzando. H&M ha annunciato il taglio di circa 1.500 posti di lavoro come parte di un programma studiato per abbattere i costi. Per il 2022, l’obiettivo è aprire 89 nuovi negozi e chiuderne 254. Inoltre, nel Missouri, è stata avanzata una nuova azione legale collettiva basata sull’assunto che la collezione Conscious Choice (nella foto) di H&M non sia affatto green. H&M viene accusata di greenwashing.

Scioperi da Zara

Inditex, società madre di Zara, sta affrontando un’ondata di scioperi dei suoi lavoratori (non solo in Spagna) che reclamano un aumento salariale. Proteste che potrebbero aumentare a metà dicembre quando Inditex pubblicherà la trimestrale. Però gli analisti prevedono che, nonostante l’inflazione, i conti del gigante spagnolo, a differenza degli altri player del settore, raggiungeranno il massimo delle vendite e dei profitti quest’anno.

Shein sotto accusa

Il più bersagliato è Shein. Lo accusano di utilizzare cotone proveniente dallo Xinjiang per i capi di abbigliamento esportati negli Stati Uniti. Inoltre, Geenpeace ha pubblicato un’indagine secondo cui il 15% dei capi analizzati registra quantità di sostanze chimiche nocive superiori ai limiti consentiti in Europa. C’è di più. Un altro report ha evidenziato come in alcune delle sue fabbriche i dipendenti fossero costretti a lavorare 18 ore al giorno, 7 giorni su 7, con una sola giornata di riposo al mese e paghe bassissime. Shein ha dichiarato di voler spendere 15 milioni di dollari per aggiornare le centinaia di fabbriche della sua catena di approvvigionamento nei prossimi 3/4 anni. Ma questo non ha convinto tutti. Soprattutto, non ha convinto i Rolling Stones. Una settimana dopo aver annunciato un accordo di merchandising con Shein, infatti, la band di Mick Jagger ha chiesto di interromperlo immediatamente. (mv)

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