Il nemico è infido, perché difficilmente riconoscibile (e quindi reprimibile): “Le imprese del falso di fatto non esistono, visto che non lasciano tracce pubbliche di contratti, bilanci e tasse”, ha spiegato Claudio Bergonzi segretario generale di Indicam, istituto di Centromarca per la lotta alla contraffazione, ad Affari & Finanza, inserto de La Repubblica. Se la filiera del fake, con la sua organizzazione informale, ha un che di impalpabile, i danni che arreca al made in Italy sono assai concreti: secondo i dati OCSE pubblicati la scorsa estate, la manifattura italiana tutta ci perde circa 35 miliardi annui di vendite in giro per il mondo, di cui 495 milioni sottratti alla calzatura e oltre 700 all’abbigliamento. In attesa di misure di contrasto più stringenti di governi e piattaforme di distribuzione, anche i marchi devono farsi furbi: “Gli imprenditori hanno capito la necessità di tutelare il brand e la proprietà intellettuale, soprattutto nella fase di internazionalizzazione – racconta Clizia Cacciamani, cofondatrice dello studio legale Innova & Partners –. C’è una maggiore consapevolezza su questi temi, tanto che le aziende ora ci chiedono di aiutarle a difendere il proprio marchio prima di entrare in un mercato straniero e non dopo, come avveniva spesso in passato”. A proposito di consulenze legali per le aziende della moda, si irrobustisce l’offerta formativa per figure professionali in passato chiamate a formarsi più sul campo (o per meglio dire: nelle aule di Tribunale) che sui libri. Parte a marzo la nuova edizione del corso di perfezionamento in Fashion Law rivolto ad avvocati praticanti e in attività, organizzata da Università Statale di Milano e università dell’Insubria. A luglio, invece, iniziano le attività del master in Fashion Law organizzato dal consorzio interuniversitario che riunisce gli atenei Bocconi, Cattolica e Politecnico di Milano. In autunno, infine, è tempo per gli analoghi corsi organizzati da Polimoda di Firenze e Luiss Roma.
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