Brioni si mette definitivamente alle spalle la cantonata metal di Justin O’Shea. In questi tempi di esplosione dello streetwear nell’alto di gamma, uno degli argomenti di dibattito è, di fronte al successo travolgente di alcune griffe, come devono recepire l’indicazione stilistica quelle maison che con il casual non hanno mai avuto niente a che fare. Il tema è arrivato anche al 10° Luxury Summit del Sole 24 Ore, dove Remo Ruffini (Moncler) e Diego Della Valle (Tod’s) si sono trovati d’accordo nella risposta: con moderazione; perché il rischio di snaturarsi e di divenire, soprattutto agli occhi del pubblico dei Paesi emergenti, una griffe senza più heritage è molto alto. Ecco, la parabola di Brioni in questo senso è esemplare. I referenti della griffe (gruppo Kering) hanno rapidamente compreso che la svolta youngster imposta da Jack O’Shea (restyling del logo e del concept degli store, i Metallica come testimonial) non poteva funzionare. Il rientro verso lidi immaginifici più sicuri, intrapreso già in inverno con il coinvolgimento di Harvey Keitel per l’ultima campagna promozionale, è rinforzato dalla campagna fotografica per la collezione Spring 2019. Trentaquattro look (dove la pelle, come si può vedere, non manca affatto) sono presentati in altrettante fantastiche ville italiane. E dove i modelli, cioè i riferimenti cui gli aficionados sono invitati a immedesimarsi, sono gentleman maturi. (foto da Vogue)
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