Solo il petrolio peggio della moda. È questa una delle conclusioni del report dell’Area Studi Mediobanca sull’impatto del Coronavirus nel primo trimestre del 2020. Che la pandemia sia stato uno choc sociale e che le conseguenti misure di lockdown e social distancing abbiano frenato l’economia reale è un dato acquisito. Ma il rapporto Impacts of Covid-19 Pandemic on 1Q 2020 Data restituisce la misura di quanto il fashion abbia sofferto più di altri settori.
Crisi inedita
La premessa, ça va sans dire, è che la crisi scatenata dal Coronavirus è inedita. CRV, sintetizza Mediobanca, ha colpito a livello globale le forniture, “chiudendo le aziende e spezzando le catene del valore”. Non solo: ha stroncato la domanda e posto in un contesto di incertezze i consumatori e le aziende. Queste sono state costrette alla posticipazione di “investimenti, nuove aperture, assunzioni” e alla “riduzione dei costi non essenziali”. La pandemia globale è arrivata a mettere sotto scacco la finanza pubblica, cui è chiesto di “spendere di più quando si prevedono minori introiti”. Scenario che spinge Mediobanca a credere in una riduzione del PIL mondiale nel biennio 2020-2021 di 9 trilioni di dollari, cioè “maggiore alle economie di Giappone e Germania combinate”.
Solo il petrolio peggio della moda
Il focus sui settori racconta, innanzitutto, una realtà a macchia di leopardo. Ci sono attività, come la farmaceutica e la grande distribuzione, che hanno chiuso il primo trimestre in area positiva. Non è il caso dei grandi gruppi della moda che tra gennaio e marzo hanno incassato il -14% dalle vendite nette, hanno visto la variazione dell’EBIT (margine operativo) assestarsi al -81,5% e i profitti netti cedere il 92%. Il fashion si attesta, dunque, tra i comparti dai risultati più critici: finanche l’auto se l’è cavata meglio, mentre la categoria Oil & energy, cioè quella del fatidico petrolio in prezzo negativo, ha fatto peggio.
Una questione italiana
Il problema del fashion, come i lettori de La Conceria ben sanno, è una questione italiana. Se la crisi dei consumi è globale, riconosce Mediobanca, quella della produzione è prettamente nostrana, perché “il 40% dei beni di lusso” è made in Italy. Sulla moda si è scatenata la tempesta perfetta che ha paralizzato l’intera filiera, dalla manifattura al retail. Ora il settore si ritrova con una crescita dell’e-commerce (+25% medio) che però “mitiga solo parzialmente le mancate vendite”, mentre l’arresto dei commerci lascia in eredità magazzini pieni (+20%), con quel che ne consegue in termini fiscali. Seppure “calzature e accessori”, considera il report, si dimostrano più resilienti dell’abbigliamento, c’è poco da star sereni: la moda recupererà dalle scorie della crisi solo a fine 2021.
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