La politica snobba la moda e non la tratta alla stregua di altri comparti industriali. Neanche ora, che il Coronavirus richiede interventi urgenti e tempestivi. Se lo dice Claudio Marenzi c’è da crederci. Perché lui (nella foto) la baraonda della pandemia l’ha vissuta da protagonista. Lo ha fatto innanzitutto da patron di Herno, il suo brand. E, poi, da presidente di Confindustria Moda, incarico ora nelle mani di Cirillo Marcolin. Ancora oggi, in quanto presidente di Pitti Immagine, partecipa ai processi decisionali in una veste più ampia di singolo imprenditore. Quello che può osservare è una classe dirigente che, a differenza di quanto accade in Inghilterra e Francia, guarda al fashion system come a “un fatto di costume con valenze d’immagine per promuovere il made in Italy”.
La politica snobba la moda
La Verità chiede a Marenzi: “Come pensa che la politica abbia visto il vostro settore?”. La risposta non lascia adito a dubbi. “A volte non l’ha manco considerata un settore industriale. Non hanno mai visto i numeri. Ora si rendono conto che si tratta di un comparto da 100 miliardi di fatturato, 28 miliardi di bilancia commerciale positiva, 650.000 addetti. I politici si sono sempre vergognati di mettere la faccia nel nostro mondo, a parte un paio di casi”. Già prima del Covid, la moda italiana ha dovuto rispondere da sola all’urto della globalizzazione. Un settore abituato a fare da sé, ora, ha bisogno del sostegno pubblico: “Per vendere a Neiman Marcus, grandi magazzini del lusso americani, non hai bisogno di parlare con il ministro. Ora, invece, anche la moda ha bisogno di una mano, soprattutto negozi e aziende con posizioni finanziarie difficili. Chiediamo aiuto senza esserci abituati e quindi facciamo casino. Ma sono positivo e vedo tutte le cose in modo laico. Vedo l’impegno”.
Crisi e opportunità
Dopo 14 mesi di pandemia, d’altronde, “i problemi sono tantissimi”. Ad esempio? “Chiusure, aperture, richiusure. Paesi che vanno bene, altri che vanno male. La distribuzione si è divaricata in due: il commercio online, che non è del tutto regolarizzato nei prezzi e nei canali distributivi – continua Marenzi –, ma è vincente, e la distribuzione di prossimità. Puoi comprare dall’altra parte del mondo da casa sul tuo computer e poi scendi le scale e ti compri qualcos’altro lì sotto”. In questo senso, la frammentazione dei mercati e del pubblico è un’opportunità, ma anche un costo: “C’è un aspetto di ricerca e sviluppo che deve aumentare e di conseguenza salgono i costi perché va diversificata la produzione”.
Che cosa si può ottenere
Le società italiane della moda si trovano in una condizione di fragilità finanziaria che non solo le espone a processi di aggregazione, ma che rende salvifiche le operazioni di M&A. Resta la richiesta di aiuti. “Ora li stiamo chiedendo tutti, e il problema è che lo stiamo facendo in troppi – conclude Marenzi –. La moda si è sempre dovuta confrontare con il mercato, non abbiamo mai avuto il settore pubblico come referente a differenza di altri settori produttivi, come l’edilizia o la sanità, che possono averlo come fornitore o cliente”.
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