Ha ragione ad essere contento di Diadora, Enrico Moretti Polegato (a destra, nella foto). Dal 2008, da quando è diventato presidente del brand sportivo, ne ha fatta di strada. Ai tempi dell’acquisizione da parte della holding di famiglia L.I.R., “più che il marchio Diadora era in difficoltà l’azienda”, ha spiegato durante l’ultimo Pambianco Fashion Summit. Ora l’azienda può permettersi di lanciare la sfida al mercato statunitense, quello dominato da Nike e dove Adidas sta lottando per guadagnare ogni centimetro. Ma c’è un merito, tra quelli rivendicati da Moretti Polegato, che non ci convince: l’addio all’uso di pelle di canguro. Su questo, a nostro avviso, si sbaglia.
Contento di Diadora
Certo, l’effetto del coronavirus si sente sui conti. Mentre nel 2019 il bilancio è arrivato a un soffio dai 170 milioni (escludendo prodotti in licenza), quello 2020 si annuncia complicato. “Attendiamo comunque risultati migliori – spiega il presidente – di quelli preventivati a marzo-aprile. Il miglioramento è guidato dai settori di mercato dove abbiamo puntato, quelli identitari e dove abbiamo contatti diretti con i consumatori”. Tra questi spicca il running, “che è in crescita anche in un mercato complesso come gli USA, dove abbiamo una commerciale da 2 anni”. Tra le strategie vincenti di Diadora c’è anche il reshoring: “Abbiamo riaperto una sede nel distretto di Montebelluna – commenta Moretti Polegato –, dove realizziamo il top di gamma”.
La tegola del canguro
Il presidente spiega che Diadora ha “accelerato sui progetti di sostenibilità” perché questa è una sua priorità, “da imprenditore e da manager”. Tra i risultati conseguiti, cita gli schemi di certificazione per l’azienda e per i fornitori, nonché le innovazioni di prodotto e di packaging. Poi, Moretti Polegato chiosa: “Siamo stati tra i primi a eliminare la pelle di canguro. Sembra strano, ma le scarpe da calcio sono ancora fatte in pelle di canguro. Il materiale non è in linea con i nostri standard”.
Perché non siamo d’accordo
È in corso, da anni, una campagna di delegittimazione dell’uso della pelle di canguro nella moda. Con strumenti propagandistici analoghi, aggiungiamo noi, a quelli già usati contro la pelliccia, prima, e le pelli esotiche, poi. La catena del valore del materiale, che ha radici in Australia, è dipinta come insostenibile, nonché immorale. Non è così. La raccolta della materia prima conciaria riguarda solo quattro specie dei marsupiali. Queste non solo non sono a rischio, ma sono in crescita al punto che ne va controllata la popolazione. L’attività è rigidamente regolata in tutti i suoi aspetti e sorvegliata dalle autorità di Canberra, dove sicuramente non siedono sadici oscurantisti. Dire il contrario, come fanno certe sigle, serve solo a vendere meglio le proprie certezze. Ve lo spieghiamo, carte alla mano, sul numero 11 de La Conceria. Dove facciamo chiarezza sul canguro e sul coccodrillo.
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