Con la presentazione al pubblico del 14 marzo della nuova veste dello store di via Torino a Milano parte il riposizionamento di Alcott. Il brand, che Nunzio Colella ha fondato a Napoli nel 1988 e che nel 2023 ha partecipato al 50% con Gutteridge al fatturato di 215 milioni di euro (+10% su base annua) del gruppo Capri, vuole distanziarsi dal fast fashion più cheap. Il restyling di Milano è solo il primo passo di un programma che prevede lo stesso trattamento per i negozi già esistenti e, soprattutto, per le 50 nuove aperture retail. Come hanno spiegato i fratelli Salvatore e Francesco Colella, figli di Nunzio e rispettivamente CEO di gruppo Capri e general manager di Alcott, negozi più belli sono utili a presentare meglio prodotti di qualità maggiore. Peccato, però, che nel processo di nobilitazione delle collezioni non rientri la pelle, cui continuano a essere preferite le alternative sintetiche.
Il riposizionamento di Alcott
“La nostra riflessione è iniziata dopo il Covid – spiega Francesco Colella –. Mantenendo l’identità giovanile e competitiva sul prezzo, vogliamo portare Alcott in una nuova dimensione”. Come? Rivedendo l’identità visiva, certo, ma anche con interventi strutturali. “Nel piano di 50 milioni di investimenti del gruppo, ad esempio, ne abbiamo già stanziati 2 in tecnologia per migliorare l’esperienza omnicanale dei nostri clienti. I mercati esteri valgono il 10% del nostro giro d’affari. Vogliamo potenziare la presenza in Grecia e Spagna, dove siamo già forti, ed entrare come gruppo nel mercato statunitense con un deposito nella East Coast a sostegno del canale digitale”.
Una questione di qualità
Gruppo Capri vuole vetrine più belle per esaltare prodotti migliori, dicevamo. “Anche questo è un percorso iniziato con la pandemia – racconta Salvatore Colella –. Prima la nostra supply chain era tutta nel Far East, ora ne abbiamo riportato il 5% in Italia e nel bacino del Mediterraneo. Questo ci permette di avere filiere più corte e sostenibili, oltreché tempestive: possiamo programmare le collezioni a 6 mesi e non più a 12”. E per quanto riguarda i materiali? “Abbiamo introdotto camicie 100% lino e cotone della miglior qualità – risponde –: come per Gutteridge, puntiamo ai migliori fornitori”.
Peccato manchi la pelle
Ecco, nelle strategie di Gruppo Capri per Alcott, però, manca la pelle. Dalla società spiegano che il materiale non è mai stato nelle collezioni, così come non è in programma la sua introduzione. Continuano a preferire le alternative sintetiche: vale a dire, come si apprende dal sito, poliuretano, poliestere, viscosa e così via. Peccato, perché la pelle è il materiale ideale per la nobilitazione dei prodotti. E non lo diciamo noi, redattori de La Conceria: lo dimostra il mercato. Si prenda da ultimo il caso di Inditex, che controlla tra gli altri Zara e Massimo Dutti. Il colosso spagnolo, per uscire vincente dal confronto con i brand più aggressivi (e controversi per ragioni sociali e ambientali) dell’ultra fast fashion cinese, ha puntato sull’innalzamento di qualità e prezzi, facendo ampio ricorso alla pelle. I conti, e quindi i clienti, gli danno ragione. (rp)
Foto di look sintetici Alcott da Facebook
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