New York Times trova il modo (anche questa volta, verrebbe da dire) per bacchettare Milano Fashion Week. Il quotidiano statunitense accusa l’evento organizzato da Camera Nazionale della Moda di essere vecchio, né più né meno: “A dettare ancora le regole è lo status quo di vent’anni fa – si legge –. È proprio sterile come sembra, anche se è giustificato da termini come DNA o heritage”. Pietra dello scandalo, o meglio immagine che racchiude la debolezza dell’evento milanese, sarebbe il successo del cameo di Jennifer Lopez durante la sfilata di Versace: “Al pubblico è stato promesso qualcosa di speciale, ma nessuno sapeva di che cosa si trattasse – continua il pezzo, dal titolo A Milano vince J. Lo, la moda arriva seconda –. Si abbassano le luci, la colonna sonora incalza con un crescendo e, poi, ecco Jennifer Lopez, 50 anni, in una nuova versione del jungle dress indossato ai Grammy del 2000”. Insomma, mentre la moda globale si proietta nel terzo millennio, quella italiana si bea ancora della gloria del secondo.
Le reazioni dei buyer
Non tutti la pensano così. Anzi, tra i buyer è solida la convinzione che Milano Fashion Week conservi la sua qualità di trend setter. “La settimana della moda è stata interessante, anche grazie al nuovo assetto del calendario – conferma al Sole 24 Ore Giulia Pizzato, direttore Buying and Merchandising di Rinascente –. Il made in Italy è un marchio di importanza cruciale e incide sulle nostre scelte d’acquisto”. Rimane il problema della convivenza dei mostri sacri del fashion con i designer emergenti, ma “il Fashion Hub organizzato da Camera Moda ha messo in luce le collezioni di ragazzi giovani, ricche di energia”, spiega Beppe Angiolini, dell’insegna Sugar.