Più che l’effetto diretto e indiretto sulle vendite, le preoccupazioni della moda e del lusso si concentrano sulle difficoltà della supply chain. E, di conseguenza, sui tempi di produzione che si sono notevolmente dilatati. Ennio Fontana, CEO di Roberto Cavalli, spiega, infatti, che questi ultimi sono passati da 2-3 mesi a 5-7. Non solo. Anche i costi sono lievitati “con un container Shanghai-Genova che è passato da 1.000 a 10.000 dollari” fa notare Sergio Tamborini, presidente di Sistema Moda Italia (associazione aderente a Confindustria Moda). Il time-to-market è a rischio crash?
Time-to-market a rischio crash
Le difficoltà nel rispettare il time-to-market è stato affrontato durante il Luxury Summit organizzato da Il Sole 24 ore svolto oggi (5 maggio 2022). Esemplare, sul tema, l’intervento di Ennio Fontana, CEO di Roberto Cavalli. “L’approvvigionamento e la logistica rappresentano il problema numero uno da affrontare. I tempi di produzione sono cresciuti del 70-80%. Quelli del trasporto sono triplicati. Per un prodotto finito occorrevano 2-3 mesi e ora siamo arrivati a 5-7”. Fontana ha parlato anche dell’aumento dei costi, prendendo come esempio un carico di suole proveniente dal Far East. Il trasporto aereo, l’opzione più rapida, oggi costa 4 volte di più rispetto al passato.
Ritorno al passato oppure no
Ma in questo modo, pur forzato non potrebbe essere “meglio – si chiede retoricamente Fontana -, così torniamo a tempistiche normali? No. Sono i grandi gruppi che fanno le regole del mercato e dettano i tempi. L’accelerazione del mercato è stata forzata da questi grandi gruppi. Per cui: se loro presentano le collezioni in un determinato periodo e tu non ci sei, perdi”. Per quanto riguarda Cavalli, Fontana ha annunciato che nel 2022 punta ad una crescita del 40% del business nonostante Covid e guerra. Emergenze, quindi, che impattano di più sul fronte degli acquisti e della produzione.
Ripensare la supply chain
Le difficoltà di Roberto Cavalli sono più o meno le stesse che incontrano gli associati di Sistema moda Italia. Il loro presidente, Sergio Tamborini, accenna a uno scenario di fine globalizzazione che potrebbe portare al ripensamento non solo delle strategie dei brand, ma anche della supply chain. Un vantaggio per il made in Italy? Forse sì, sottolinea Cirillo Marcolin. Per il presidente di Confindustria Moda la produzione italiana potrebbe essere preferita (al di là dei costi) ad altre produzioni per alcuni suoi punti di forza. Per esempio, il rispetto degli standard di sostenibilità garantiti da una filiera corta. Ma anche competenze, qualità, cultura e tradizione artigianale. Per questi motivi, secondo Marcolin le PMI “in qualche modo” vanno salvaguardate. Lo faranno le istituzioni? (mv)
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