“Se nel prossimo triennio si ritagliasse un pacchetto di investimenti per il settore di 6 miliardi, il ritorno in termini di crescita sarebbe enorme. La produzione industriale crescerebbe di oltre 11 miliardi e il fatturato di quasi 20”. Niente di miracoloso, spiega Censis. È “semplicemente” la dimostrazione del potere produttivo, economico e sociale di un settore preciso del made in Italy. Lo chiamano TMA, acronimo di: Tessile, Moda, Accessorio. Tre comparti che ricadono sotto l’ombrello di Confindustria Moda, federazione che riunisce le relative associazioni di categoria. In altre parole: SMI (Sistema Moda Italia) e Assocalzaturifici (Associazione Nazionale dei calzaturifici italiani). Assopellettieri, UNIC – Concerie Italiane e AIP (Associazione Italiana Pellicceria). ANFAO (Associazione Nazionale Fabbricanti Articoli Ottici) e Federorafi (Federazione Nazionale Orafi Argentieri Gioiellieri Fabbricanti). Un potere che emerge con forza da uno studio che Confindustria Moda e Censis hanno presentato questa mattina a Roma.
Il valore del made in Italy
“Uno dei problemi che sconta il settore della moda – spiega Lucia Bergonzoni, sottosegretario al Ministero della Cultura – è che l’opinione pubblica lo sintetizza nella modella e nello stilista. Non nella miriade di imprese che rendono l’industria del made in Italy unica al mondo”. Una “miriade” che si traduce nella consapevolezza che, dice Ercole Botto Poala (presidente di Confindustria Moda), in una incredibile “biodiversità” industriale. Ma, anche nel fatto che “non credo esista in Italia una provincia dove non operi un’azienda che non faccia parte delle associazioni federate in Confindustria Moda”. Una capillarità che, calcola Censis, ha valori di altissimo profilo. Anno di riferimento: 2021. “Fatturato complessivo prossimo ai 93 miliardi di euro” per “oltre 60.000 imprese con circa 550.000 addetti. Il valore dell’export è di quasi 68 miliardi di euro, di cui 40 extra UE. La potenza economica del settore e il suo valore strategico sono confermate anche da altre indicazioni: il TMA è la seconda industria italiana per numero di occupati. Nella graduatoria UE relativa è al primo posto per valore aggiunto (21 miliardi di euro)”.
Il potere del Tessile, Moda, Accessorio
E qui si arriva al potere moltiplicatorio del settore, citato nelle prime righe e Confindustria Moda sintetizza così: “Per ogni euro investito se ne generano oltre 3 di fatturato e si stimola crescita culturale e sociale”. Molto interessante, come emerge dall’indagine Censis, è il fatto che questa capacità sia nota ai consumatori italiani. “Il ruolo nell’economia nazionale della filiera rappresentata da Confindustria Moda è trasversalmente riconosciuto dagli italiani”. La ritengono “importante nel 95,7% dei casi. Per il 58,3% molto importante e per il 37,5% abbastanza. L’importanza che gli è attribuita non rinvia a un generico apprezzamento. L’87,5% richiama la capacità del settore di creare occupazione e reddito”. Non solo. “Il 48,1% dei cittadini – scrive Censis – è convinto che il settore moda promuova il rispetto del lavoro e dei lavoratori in ogni ambito di sua competenza (…). Il 51,9% ritiene che sia impegnato concretamente nell’adottare scelte che rispettano l’ambiente e riducono il rischio di inquinamento”. La sintesi di tutto ci pare importante: “Il 68,8% degli italiani ritiene che il settore della moda, attraverso i suoi prodotti, abiti e accessori, produca cultura come l’arte, la danza, la musica o la letteratura”.
Una primaria macchina manifatturiera
Il potere della manifattura made in Italy è materiale e immateriale. E possiede un valore pazzesco. Niente a che vedere con la percezione subita durante la crisi indotta dalla pandemia. “Il TMA rappresenta una primaria macchina manifatturiera del nostro Paese – conclude Massimiliano Valerii, Direttore Generale Censis -. Sconta il pregiudizio che produca soprattutto beni voluttuari, riservati a una fascia elitaria di consumatori e che, quindi, in periodi di profonda crisi, sia un settore sacrificabile”. Invece, “è l’esatto contrario. È una potente macchina produttiva anche per il valore sociale che incorpora, determinando coesione e ricchezza dei territori in cui operano le sue aziende”.
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