Riaprire il prima possibile, e non aspettare il 4 maggio, per la manifattura vicentina non è un optional: è a rischio l’80% degli ordini per concia, auto e moda. Lo spiega ad Adnkronos Luciano Vescovi, presidente di Confindustria Vicenza: “L’industria manifatturiera è già in sicurezza da un mese – sono le sue parole –. Doveva potere restare aperta o chiusa su base volontaria, come succede nel resto d’Europa. Invece è stata in lockdown. Ne prendiamo atto, ma altri 15 giorni non hanno senso”.
A rischio l’80% degli ordini
Per Vescovi arrivare il prima possibile alla Fase 2 non è una questione di principio: è la condizione necessaria per non essere buttati fuori dal mercato. Non si può affatto escludere che “i produttori esteri che lavorano in questo momento vadano in cerca di altri fornitori. Se l’Audi riapre e non trova il fornitore italiano – ipotizza –, lo troverà il Polonia, in Repubblica Ceca, in Slovacchia, in altri Paesi europei dove le fabbriche sono aperte”. Il verdetto è semplice: “Se aspettiamo altri 15 giorni rischiamo di perdere l’80% delle commesse in settori centrali per il nostro territorio come moda, concia e automotive“.
La situazione
Mentre il comparto industriale vicentino vede circa il 50% delle aziende aperte, ma nella maggior parte dei casi solo parzialmente, e l’operatività media ridotta al 25%, si prospettano scenari difficili. “La moda ha perso sei mesi e, se non apre domattina, ne perde altri sei – tuona Vescovi –, perdendo tutta la stagione autunno inverno, che non possono produrre, non soddisfacendo gli ordini e perdendo così altri sei mesi di fatturato”. Non solo: nel vicentino ricade “buona parte dell’industria meccanica, legata all’automotive tedesca e francese in prevalenza”. Così come “c’è il settore della concia vicentina, che è il primo in Europa – spiega ancora il presidente della territoriale di Confindustria –. Questo polo è fermo perché è legato alla moda e all’automotive”.
Situazione insostenibile
Il prolungato lockdown rappresenta “una situazione insostenibile”. La prolungata chiusura e la conseguente perdita di commesse significano una cosa sola: fallimenti. “Allora c’è un grande rischio: che una percentuale alta di imprese non riaprano – conclude Vescovi –. Non possiamo aspettare il 4 maggio, perché ripeto noi dobbiamo certificare che le aziende sono in sicurezza e lo sono come lo saranno il 4 maggio. Semplicemente concentriamoci su chi è in grado oggi di garantire la sicurezza”.
Nell’immagine, foto d’archivio La Conceria
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