Tanzania: il protezionismo è un boomerang. Le concerie locali non ce la fanno, il grezzo marcisce in magazzino

Il caso potrebbe essere ritenuto da manuale. In Tanzania per anni hanno invocato dazi e protezioni per limitare al minimo l’uscita dal Paese della materia prima conciaria. Hanno imposto tasse all’export di crescente portata, scoprendo che spesso erano aggirate alla luce del sole da una diffusa pratica di contrabbando. Hanno cercato di rafforzare la produttività delle sette concerie nazionali che, a quanto comunicato pochi mesi fa, potevano contare soltanto su 250.000 pelli all’anno, a fronte di esportazioni numericamente ben superiori: 3,1 milioni di pelli di vacca, 2,8 milioni di capra e 550.000 di pecore. Il risultato del successivo protezionismo è un paradossale, ma significativo, boomerang. Secondo i grezzisti locali, le concerie non sono in grado di processare un tale volume di pelli e quindi, divenuto pressoché impossibile, causa dazi altissimi, esportare, la materia prima starebbe marcendo nei magazzini. “Oltre 1.380 tonnellate di pelli – hanno dichiarato alla stampa locale i detentori del Paese africano  –  per un valore superiore ai 700.000 dollari sono ferme e stanno deteriorandosi. Altre 300 tonnellate sono già state distrutte”.

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