“Emerge con chiarezza come lo sviluppo del comparto, in particolare nel mio settore, quello della pelletteria, sia condizionato da due fattori, al momento carenti: i talenti del futuro e le tecnologie del futuro. Da una parte c’è la ricerca disperata di giovani disposti non tanto e non solo ad imparare, ma anche a rimanere e crescere all’interno delle nostre attività. Dall’altra la necessità di adottare immediatamente le nuove tecnologie: la bassa digitalizzazione è un fattore che abbatte enormemente la competitività delle imprese”. A lanciare l’allarme è Aldo Cappetti (nella foto), rappresentante CNA (Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa) all’interno della Consulta per la Moda di Arezzo, di cui è stato anche presidente. L’imprenditore toscano, che insieme a due soci guida Romy Pelletterie, evidenzia le difficoltà vissute dal proprio segmento all’interno del più articolato comparto della moda che, però, vive difficoltà simili. Nel mondo della pelletteria, ha evidenziato tuttavia Cappetti, se ne aggiunge un’altra sorta più di recente: l’aumento dei costi di smaltimento degli scarti. “Fino a qualche mese fa – ricorda l’imprenditore – questi venivano conferiti per la quasi totalità in discarica, ma ora non è più consentito. Di conseguenza tutti i ritagli della lavorazione di oggetti in pelle come borse, portafogli, portachiavi e capi d’abbigliamento devono essere smaltiti attraverso la termodistruzione”. Per far fronte a questa nuova necessità bisognerebbe inoltre rivolgersi alle strutture presenti fuori dai confini toscani perché la capacità di smaltimento dei tre termovalorizzatori esistenti in regione sarebbe già saturata dai rifiuti urbani. Gli scarti della lavorazione in pelle verrebbero quindi inviati ai termovalorizzatori dell’Austria o della Slovenia e lì smaltiti, determinando in questo modo un aumento dei costi per i piccoli produttori. “Per noi il costo sale dai 15/20 ai 35/45 centesimi al chilo, oltre alle spese del trasporto” denuncia Cappetti, secondo il quale per superare il problema bisognerebbe “consentire nel breve il conferimento presso impianti esistenti, mentre nel lungo periodo serve un piano regionale industriale complessivo e una strategia chiara in materia di rifiuti”. “Essenziale sarebbe anche la caratterizzazione degli scarti di pelle come sottoprodotto e non come rifiuto – conclude l’imprenditore -, in modo da facilitarne il reimpiego nei processi industriali e il recupero per la produzione di altri beni”.
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