Le sfide della borsa italiana. Un settore che teme di perdere le piccole aziende, più esposte alla crisi, e che ha bisogno di giovani leve. Franco Gabbrielli, presidente Assopellettieri, ci parla di un comparto resiliente, delle decisioni prese in materia di formazione, nonché di Mipel, la principale fiera di riferimento.
Le sfide della borsa
Qual è la situazione della pelletteria italiana?
Molto complessa. Le aziende a marchio proprio soffrono da anni. La pandemia ha peggiorato la situazione. Mentre l’andamento delle imprese che operano conto terzi è legato a quello del brand o dei brand di riferimento. Inoltre, quelle che hanno un rapporto diretto con la griffe fanno meno fatica rispetto a chi è un po’ ai margini della filiera produttiva. C’è grande preoccupazione.
Che dicono gli ultimi dati?
Abbiamo estrapolato i dati dall’ultima indagine Confindustria Moda e li abbiamo combinati con sondaggi e indagini rapide svolti tra i nostri associati. Possiamo stimare una flessione media del fatturato del quarto trimestre attorno al 26-27%. Per cui dai 9 miliardi di euro di ricavi del 2019, il 2020 dovrebbe chiudersi a quota 5,7 miliardi, con un calo del 37%.
Quali prospettive?
Non sono delle migliori. Il 2021 sarà peggiore del 2020. Se l’anno scorso i primi due mesi sono stati normali e nei successivi abbiamo beneficiato dell’inerzia del 2019, quest’anno arriviamo da un anno difficile e le incognite non mancano. La cassa integrazione va bene, ma non salva l’azienda. Bisogna tornare a lavorare.
Quali sono le sfide poste dalla pandemia?
La pandemia ha accelerato alcune sfide, come la digitalizzazione. Ma ha anche accelerato la polarizzazione, con le aziende piccole che sono più in difficoltà e chiamate a fare degli investimenti a volte troppo onerosi o insostenibili.
Potrebbero mettersi insieme…
Vero, ma in Italia non c’è questo spirito di gruppo e la pandemia non mi sembra lo abbia favorito. I piccoli restano piccoli. Il problema è che i risultati degli investimenti non sono immediati. Occorrerebbe avere una visione più a lungo termine, quella dei grandi gruppi che continuano ad investire.
E il digitale?
Il piccolo fa fatica anche ad investire in questa direzione, che è l’unica a disposizione oggi. Sono abituati alla formula fisica, agli ordini rastrellati in fiera. Purtroppo, con questa situazione rischiamo di perdere molte piccole imprese.
Se si perdono aziende si perdono anche le competenze…
È un problema enorme. Stiamo cercando di far capire ai grandi brand che se dovessero chiudere le piccole aziende ci sarebbe un danno enorme anche per loro. E le piccole aziende sono palestre eccezionali per la formazione.
A proposito di formazione, cosa sta facendo l’associazione?
La nostra idea è quella di fare un centro per le eccellenze della pelletteria in Toscana. Riunire sotto lo stesso tetto la parte museale, la tecnologia applicata e la formazione. Abbiamo già avviato i colloqui con la Regione. Lo scopo è anche quello di far avvicinare i giovani alla pelletteria.
Parliamo di Mipel Digital Show
Abbiamo deciso di sviluppare una nostra piattaforma. Siamo entrati nel capitale di Baemi, una startup innovativa, che oltre alla realizzazione della piattaforma offre la produzione di contenuti. Un servizio all inclusive, quindi. Un cambiamento dettato dal fatto che l’anno scorso i piccoli hanno avuto difficoltà a caricare i contenuti sulla piattaforma.
Quale impatto sul business aziendale?
Il Mipel digitale, che durerà 3 mesi, non sostituirà la fiera fisica, ma sarà sempre più importante. Quando torneremo alla formula fisica la piattaforma sarà di supporto, con il vantaggio di poter abbracciare un periodo più lungo dei 4 giorni in presenza.
La pelletteria è un settore resiliente?
Sì. Il grande problema è che per molti anni c’è stata una classe dirigente che non è mai cambiata. Oggi c’è bisogno di rinnovamento. Senza giovani non si va da nessuna parte. Non credo sia il momento di mettersi sotto costa. È il momento di investire, oppure di cambiare qualcosa. (mv)
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