Sostenibilità all’africana. Siamo in Etiopia. In una regione nord-orientale del Paese, abitata in maggioranza da popolazioni Afar. Un nome che, però, identifica anche il brand di un’azienda che produce borse e accessori con pelle di zebù, l’antenato di tutti i bovini.
Italian touch
In Etiopia lo zebù viene utilizzato come animale da traino. Serve per arare i campi. Village Industry, fondata nel 2004 ad Addis Abeba e proprietaria del marchio Afar, ne trasforma la pelle in accessori. A capo di Village Industry ci sono imprenditori italiani che, una decina di anni fa, hanno lasciato la Toscana per stabilirsi in Etiopia.
C’era una volta
Questa storia imprenditoriale, però, affonda le sue radici nel 1878. Siamo, questa volta, in Italia. In quell’anno nasce l’azienda Figli di Michelangelo Calamai. Negli anni ’30 la società diventa il terzo produttore europeo di coperte, impiegando oltre 3.000 dipendenti. Oggi, la società “declinazione” etiope impiega poco più di 100 persone. Il design dei prodotti è italiano, ma la lavorazione delle materie prime e la sua realizzazione, con cuciture a mano, è made in Etiopia.
Lo zebù
“La pelle di zebù è simile alla pelle di un animale selvatico. Porta segni delle spine di acacia, punture di insetti, incontri con animali predatori. Però, ha una densità di fibra superiore alle altre pelli. È più robusta, presenta bellissime venature e migliora con il passare degli anni” afferma Ruggero Calamai, figlio degli attuali imprenditori a capo dell’azienda. Afar per alcuni prodotti utilizza il pellame di zebù mixato con altri materiali come canvas o cotone tinto esclusivamente con pigmenti naturali. Dello zebù viene utilizzato anche il corno. “I pellami vengono acquistati da una conceria locale che concia al vegetale per preservarne il fascino naturale” spiega Ruggero.
Il trend
L’azienda africana esporta i suoi prodotti in Italia, Francia e Spagna. E, naturalmente, vende in Etiopia e Africa. “L’andamento di quest’anno è buono. Il lavoro è in crescita di circa il 25% rispetto all’anno precedente” ci dice Camillo Calamai, padre di Ruggero, che gestisce l’azienda. (mv)