La disaffezione al logo ha lasciato il segno su Gucci nel terzo trimestre. Il brand di Kering ha registrato una modesta crescita (0,6%), una delle più basse degli ultimi quattro anni. Si tratta di un risultato in parte atteso, considerato il trend analogo del suo concorrente principale, Lvmh. Ambedue sono impegnati a liberare il mercato dalla ubiquità del logo e ad aumentare l’offerta di pelletteria di fascia altissima, ma gioca un ruolo fondamentale anche il mercato cinese, come conferma Jean Marc Duplaix, capo delle finanze: “La prestazione di Gucci va attribuita al peggioramento delle vendite in Cina e alla direzione verso fasce più alte di mercato che corrispondono a volumi inferiori”. Nel terzo trimestre i numeri cinesi di Gucci riportano un calo in “cifra singola”, del 2% nell’Asia intera, della stessa percentuale in Europa, ma sono in crescita del 10% in Giappone e del 3 in Nordamerica. Sul mercato cinese il logo delle borse vale il 40% degli acquisti, molto di più in Giappone, il 70. Su quello mondiale, il non logo vale oggi il 55% delle vendite, 20 punti in più della cifra del 2012. Gucci, il cui valore aziendale viene ritenuto metà di quello della casa madre, Kering, sta snellendo la distribuzione del wholesale e rinnovando molti negozi diretti i quali contribuiscono per il 77% al fatturato. Dal canto suo, Kering registra un +5.6% che delude il mercato finanziaria il quale aveva previsto una crescita del 7-8%. (pt)
Gucci condiziona negativamente Kering
