Lontano dai più grandi distretti della pelletteria italiana si sta bene. E si cresce. Ne è un esempio Dimar Group, che impiega circa 440 persone tra le sedi di Valentano (Viterbo) e di Campli (Teramo). Un altro stabilimento è in costruzione a Floriano (Teramo). Qui saranno trasferite l’attività della fabbrica di Campli, arrivando a impiegare 400 addetti. Nei progetti futuri anche una nuova sede a Valentano. Formazione, manager esterni e passaggio generazionale garantiscono il futuro dell’azienda specializzata nella produzione di pelletteria per le griffe del lusso. La guidano Angelo Cionco e Fabio Martinelli.
Martinelli, come va il mercato per Dimar Group?
Alcuni dei nostri clienti hanno rallentato i ritmi, altri li hanno mantenuti stabili, mentre altri ancora li hanno accelerati. Complessivamente stiamo crescendo e le prospettive sono molto buone.
Come spiega questa crescita?
Cresciamo perché abbiamo seminato bene. Ci sono diversi elementi che hanno contribuito a questo andamento. Siamo una grande struttura, e i big player del settore stanno cercando gruppi con una certa capacità produttiva. Abbiamo inserito da tempo dei manager esterni che, se prima venivano visti con un certo scetticismo dalle griffe, ora rappresentano un quid in più. Stiamo internalizzando la produzione, e questa è una strategia che viene apprezzata. E cresciamo anche perché siamo fuori dai maggiori distretti italiani della pelletteria.
E questo dà vantaggi?
Ad esempio, ci sono maggiori opportunità per reperire personale che poi formiamo internamente. Inoltre, il personale è più fidelizzato.
Qual è il senso e l’importanza che attribuisce a Mipel Lab?
Mipel Lab è una iniziativa nuova, diversa e già questo ci attrae. Ci sono molti brand nel mondo che vorrebbero produrre in Italia, per cui riteniamo che la vetrina di Mipel Lab possa far ulteriormente emergere il settore della pelletteria italiana. Consideriamo Mipel Lab un’opportunità in più per noi.
Quali sono i punti di forza e di debolezza della pelletteria italiana?
Il punto di forza è che siamo i più bravi. Ce lo diciamo, ma ce lo riconoscono anche. I punti di debolezza arrivano se non da una dimensione media aziendale piuttosto contenuta, da una struttura organizzativa che deve essere più efficiente per poter dialogare con i grandi brand. Il linguaggio che è cambiato da qualche anno. (mv)
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