Successo assicurato per le case di moda che passano in mani cinesi? Forse, ma non è così scontato. Si prenda il caso, strettamente attinente alla pelletteria, di Lanvin, acquisito dai cinesi di Fosun e non in “grande forma” da quando ha divorziato (in modo tempestoso, nell’ottobre 2015) dal suo stilista storico, Alber Elbaz. Il compito di ridare immagine e futuro a un marchio con 130 anni di storia è stato affidato al ceo Jean-Philippe Hecquet che ha scelto Bruno Sialelli come direttore creativo. Ed è proprio Hecquet che, in una lunga intervista rilasciata al portale Ladymax, dice quanto segue: “Molte grandi aziende pensano che l’acquisizione di un marchio debba funzionare nel modo che vogliono loro, ma non è giusto: il marchio ha sempre la sua indipendenza e il vantaggio che abbiamo nell’essere stati acquisiti da Fosun International è di poter entrare meglio nel mercato cinese. Non abbiamo considerato Fosun come un’azionista, ma come un partner“. Come ritengono alcuni analisti, spesso gli investitori cinesi considerano l’acquisizione di un marchio di lusso straniero come una “scorciatoia” per il proprio successo e come il primo passo di un percorso di crescita a medio/lungo termine. “La gestione di un’azienda cinese e quella di una griffe francese sono necessariamente diverse, ma alla fine devono scegliere di andare in un’unica direzione, basata su una forte comunicazione tra le parti” ha spiegato il ceo di Lanvin. Comunicazione che deve tradursi in strategie precise. Quelle di Lanvin passano dagli accessori, borse in particolare. Bruno Sialelli ha, infatti, rivelato l’intenzione creativa di innescare uno scatto nelle collezioni del brand francese, proponendo modelli accattivanti, morbidi, di grandi dimensioni e (anche) in pelle stampata. Il tutto, per far sì che Lanvin tagli i ponti con un passato nel quale, secondo gli addetti ai lavori, non è stato in grado di lanciare un modello trainante per le vendite. Solo il prossimo futuro ci darà se, ora, l’ha trovato. (mv)