“La premessa è che non sono un pellettiere”: fino al 2015 Luca Bortolami, imprenditore di origini venete, sapeva ben poco di come si produce una borsa. Questo, però, non gli ha impedito (anzi, forse il contrario) di appassionarsi di pelletteria. Al punto che, proprio quell’anno, ha deciso di rilevare Tigamaro, a Tolentino (Macerata). È l’inizio di un progetto manifatturiero innovativo. Qualcosa che potremmo definire Nuova Pelletteria Italia e che, sulla solidità delle proprie basi, gioca al rialzo anche nei peggiori momenti di crisi. Bortolami (nella foto) inizia a trasformare l’azienda, ma nel 2016 arriva il terremoto. E quattro anni dopo, nel 2020, è la volta della pandemia. Tigamaro, però, non solo resiste alle 2 emergenze, ma rilancia e investe 5 milioni di euro per realizzare un’azienda tutta nuova. In più rileva un’impresa veneta. Il tutto, con una mission precisa: puntare sui giovani, sulla formazione e su una costante immissione di nuove idee. Il tutto, mettendo Tigamaro al servizio, in modo evoluto, della pelletteria di fascia alta e altissima. Tutto questo (e molto di più) ce lo racconta in questa intervista long form Luca Bortolami.
Nuova Pelletteria Italia
Come mai ha investito nella pelletteria?
La premessa è che non sono un pellettiere. Mi occupavo di marketing e comunicazione (possiedo tuttora un’agenzia di comunicazione digitale a Vicenza) e gestivo un network televisivo. Una persona che conoscevo mi ha proposto di rilevare Tigamaro. Visitando l’azienda, vedendo come si creano i prodotti in pelle, ho avuto un colpo di fulmine. L’ho rilevata praticamente al buio, perché chi me l’ha ceduta non è rimasto all’interno della pelletteria. Per cui ho imparato tutto sul campo, portando le mie idee.
Partire da zero, da solo, senza sapere nulla di pelletteria e trasformare Tigamaro : come c’è riuscito?
L’idea iniziale è stata quella di passare dal concetto di laboratorio artigiano a quello di azienda. Ho formato un team giovane, competente, volenteroso. Il vantaggio competitivo che magari abbiamo oggi deriva dal fatto che la riorganizzazione dell’impresa è stata avviata 6 anni fa, prima di altre.
La prima emergenza: il terremoto
Poco dopo il suo arrivo c’è stato il terremoto: come lo avete affrontato?
Ho partecipato a una riunione cittadina in cui la gente piangeva per le case distrutte. Salii sul palco per dire che non bisognava farsi prendere dallo sconforto e allontanarsi dal territorio. Perché c’era il rischio che, oltre alle case, Tolentino potesse perdere anche le aziende. Dissi che le imprese sarebbero dovute diventare più ospitali per dare un tetto ai dipendenti che avevano perso la casa. La risposta è stata incredibile. Si è formato un legame col territorio e si sentiva l’energia della gente dettata dalla voglia di ripartire.
Cosa vi ha “lasciato” il terremoto?
Abbiamo cercato e cerchiamo tuttora di ridare al territorio quello che riceviamo. La continuità aziendale dipende anche da questo rapporto. E il territorio ci sta ripagando. Siamo un’azienda credibile. Non solo: il terremoto ha avuto la funzione di stimolare e accelerare il processo di rinnovamento. Mi sono accorto che nel giro di pochi anni avrei avuto un’azienda troppo vecchia.
La seconda emergenza: la pandemia
Dopo il terremoto è arrivato il Covid, ma voi avete investito…
Da poco più di un anno ci siamo trasferiti nel nuovo stabilimento, con nuovi macchinari, frutto di un investimento di quasi 5 milioni di euro. È costato il 40% in più rispetto a un fabbricato industriale tradizionale, ma negli anni contiamo di recuperarli. In questo momento, ad esempio, l’impatto del caro energia è limitato. Non abbiamo preso un euro di contributi pubblici o agevolazioni. Sono state finanziate le ricostruzioni e non le nuove realizzazioni.
Perché questa decisione?
Perché la vecchia sede era diventata troppo stretta. Abbiamo realizzato questo edificio circolare, smontabile, sostenibile e privo di cemento in pochi mesi. I lavori sono partiti a metà febbraio 2020, poi c’è stato lo stop per la pandemia. Abbiamo ripreso a giugno 2020 e a gennaio 2021 è partita la produzione nella nuova fabbrica.
Quanti addetti ci lavorano?
Abbiamo 120 dipendenti (il 90% donne) e un’età media di 31 anni. Nel 2017 è partita la scuola di formazione Tigamaro Academy con la quale sono state formate un centinaio di persone. Tra Academy e i primi passi in azienda occorre circa un anno per formare un pellettiere.
Carta d’identità e prospettive
Ci racconta Tigamaro in pillole?
Lavoriamo per i più importanti gruppi del lusso. Abbiamo chiuso il 2021 a circa 10 milioni di euro di fatturato (contro i 6,5 del 2020) e contiamo quest’anno di tornare ai livelli preCovid. Del gruppo fa parte anche TiCrea di Monte di Malo (Vicenza), azienda di modelleria rilevata nel 2020 dove lavorano una decina di persone. Mentre a Craiova (Romania) c’è un’altra azienda con 120 dipendenti che si occupa di tracolle, manici e componentistica, ma non ha rapporti con Tigamaro.
Ha investito perché aveva buone prospettive: sono le stesse di oggi?
L’Italia si trova in una buona condizione nell’attuale mercato della pelletteria dominato dai grandi brand. Ma ha bisogno di un cambio di passo. Le imprese devono impegnarsi per diventare più moderne in ogni settore, da quello finanziario a quello organizzativo e gestionale. E anche più grandi per garantire un certo volume di produzione.
In questo perimetro come si colloca Tigamaro?
Puntiamo a essere un’azienda evoluta al servizio del brand. Un punto di riferimento per il settore del lusso: il nostro obiettivo è che i marchi si affidino sempre di più alle nostre competenze.
L’era del terzismo evoluto
Cosa vi chiedono oggi le griffe?
Impegno nella sostenibilità, tracciabilità delle lavorazioni, continui aggiornamenti dello stato di produzione. Cerchiamo di produrre più internamente possibile per avere un prodotto sempre uguale e, quindi, cerchiamo di ricorrere il meno possibile a terzisti esterni.
Come si gestisce la produzione per diversi brand?
Ogni brand ha il suo concetto di qualità. E questo è molto importante quando realizzi i suoi prodotti. Cerco di far lavorare sempre lo stesso team per lo stesso marchio.
Qual è il rapporto tra tecnologia e artigianalità?
La tecnologia ci aiuta sia ad essere più efficienti. È ausiliaria, ma non sostitutiva delle mani e dei cervelli. Permette di lavorare meglio, con più informazioni che arrivano in tempo reale.
Reshoring e formazione
Sta notando un reshoring delle produzioni?
Sicuramente sì. Ma credo che la produzione non debba tornare in Italia perché il nostro Paese è diventato più conveniente. Deve tornare perché il made in Italy torna a essere centrale nella produzione di pelletteria. E lo farà dando valore al proprio sistema che noi diamo per scontato ed invece è un punto di forza da valorizzare. Ma ho notato anche un reshoring imprenditoriale, nel senso che gli imprenditori stanno tornando a investire nelle aziende.
I giovani garantiscono il futuro di questa Nuova Pelletteria Italia?
Assolutamente sì. La formazione è al primo posto tra le nostre priorità. Noi la facciamo internamente. Perché ne abbiamo la necessità. Condanno chi continua a “rubarla” ad altri perché se non si crea del nuovo il serbatoio prima o poi si esaurisce. La transizione giovanile è fondamentale per la pelletteria e la manifattura italiana. (mv)
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