Un settore in forma. Un comparto vivace. Una filiera, specie nella parte più legata alle attività delle griffe, prospero. La pelletteria italiana, ora, riceve dal Coronavirus lo sgambetto che non ci voleva. L’emergenza internazionale costringe a rivedere i programmi per il 2020.
Qui Scandicci
“Il Coronavirus è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Già da novembre 2019 c’era stato un rallentamento a macchia di leopardo – riconosce Simone Balducci, presidente CNA Scandicci –. Alcune aziende che avevano puntato principalmente sul mercato cinese, avevano già sofferto per le proteste di Hong Kong“. Nel distretto di Scandicci, sostengono gli stessi dati diffusi da CNA, il 30% delle commesse sono state annullate. “Eravamo in un momento di lancio, quando il virus è arrivato in Italia. Gli ordini erano ancora su carta e sono stati bloccati”. Adesso si teme che il calo di produzione possa costringere le aziende manifatturiere a lavorare quattro giorni su cinque. “C’è stata una crescita incredibile del settore pelletteria. Ora il rallentamento è dovuto anche dai magazzini pieni – spiega Balducci, facendo un esempio lampante –: Un’azienda di Scandicci di 40 persone a gennaio 2019 ha assunto altri 50 addetti per sopperire agli ordini. Lo scorso dicembre non ha potuto rinnovare il contratto”. Adesso si attende di capire quale sarà l’effetto Coronavirus in un lungo periodo. “Le stime si faranno tra qualche mese. Per ora nelle filiere si sta pensando di imporre ai dipendi ferie forzate. Se riuscissimo a ripartire in tempi brevi, potrebbe mancare a molti la componentistica che arriva dalla Cina”.
Lo sgambetto che non ci voleva
“C’è molta preoccupazione. Anche la mia azienda ha registrato l’annullamento di alcuni appuntamenti da parte di clienti che vengono da fuori – racconta Andrea Calistri, vicepresidente nazionale di Assopellettieri e titolare di Sapaf Atelier 1954 –. Si preannuncia una stagione non facile. Se si pensa alla dimensione dei distretti della moda, la preoccupazione aumenta: se la situazione attuale andrà avanti altri mesi, ci potranno essere problemi occupazionali a lungo termine”. Ora che si fa? “Con Assopellettieri stiamo cercando di costruire delle soluzioni. Le ferite vanno tamponate, ma bisogna anche pensare al futuro – risponde Calistri –. Ci stiamo muovendo per attivare tutti gli ammortizzatori possibili, per cercare di non perdere le competenze. Allo stesso tempo ci stiamo organizzando per offrire un sistema di servizi di internazionalizzazione per chi vuole ritagliarsi delle prospettive future. È bene attrezzarsi in questi momenti, perché quando il mercato ripartirà, come ci insegna l’esperienza, lo farà a gran velocità e dovremo essere pronti”.
In primavera ne vedremo delle belle
“Credo che l’impatto Coronavirus arriverà verso maggio-giugno – ipotizza Ornella Auzino, titolare della napoletana Le Mie Borse –. Anche perché qualche brand ha avuto un calo delle vendite e sta rallentando. Oggi alcune imprese già chiedono cassa integrazione o contratti di solidarietà. Qualcun’altro avverte la mancanza di disponibilità di accessori made in China, così come di collante”. Quella della borsa è una filiera del valore globale, certo, ma soprattutto nazionale: “In alcuni casi dipendiamo dalla Toscana, dove avviene ad esempio il taglio dei pellami – riprende Auzino –. Se loro si fermano, ci fermiamo anche noi”. I gruppi del lusso non possono abbandonare il made in Italy a sé stesso: “Chi produce in Italia e ha investito nel nostro Paese deve affrontare la situazione e sostenere la propria filiera produttiva – conclude –. Non possono correre il rischio di indebolirla: altrimenti, quando la situazione tornerà alla normalità, non la ritroverebbero più”. (mv/mvg)
Foto d’archivio
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