Entrare trionfalmente nel mondo no fur è facile. Basta un comunicato stampa. Bisogna, però, stare attenti. Perché i cortocircuiti sono dietro l’angolo, così come le figuracce e le polemiche. Ad esempio, House of Fraser s’era dimenticato di esserlo, fur free. In che senso? La catena di grandi magazzini britannici ha adottato da più di dieci anni la politica del no assoluto al pelo naturale. Salvo poi distrarsi, si fa per dire, sugli inserti dei capi d’abbigliamento.
La polemica
A scatenare la polemica a metà novembre sono stati gli animalisti. Pietra dello scandalo, dicevamo, sono gli inserti in pelliccia di coniglio e procione di alcuni capispalla regolarmente in vendita negli store House of Fraser. Da Twitter il dibattito è planato, tra le consuete minacce di proteste e boicottaggio, verso i media tradizionali. Indipendent riporta adesso che ai vertici di SportsDirect, nuovi titolari dell’insegna, non è rimasto che chiedere scusa. E togliere dagli scaffali i capi contestati.
Cortocircuiti no fur
House of Fraser è stato protagonista già nel 2017 di un incidente simile. Ai tempi, analisi di laboratorio dimostrarono che capi etichettati come “faux fur” fossero, in realtà, composti di pelliccia autentica. Nello stesso problema sono incorsi, a inizio 2018, alcuni portali e-commerce. E qualcosa del genere è appena successo anche a Melbourne. Dove gli animalisti contestano 12 prodotti: venduti nei mercati di Queen Victoria e South Melbourne come “pelliccia finta”, montano autentica pelliccia animale. Col paradosso che nulla impediva a produttori e distributori di presentare i materiali per quello che sono, pelle naturale con pelo. Mentre la falsa etichettatura, of course, non è lecita.
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