Il cortocircuito è completo. Quando alcuni label sventolano ai quattro venti l’addio (per ragioni di marketing) alla pelliccia e la falsa etichettatura affligge il mercato, capita che gli elementi si mischino in una soluzione davvero sbalorditiva: produttori che vendono capi nominalmente “cruelty free” (come piace dire ai green), confezionati però con vera pelliccia, segnalata al consumatore come sintetica. Lo denuncia la costola britannica della onlus Human Society International, che ha comprato prodotti (come le scarpe nella foto) su piattaforme di e-commerce (Amazon, Groupon, Etsy, TK Maxx tra le altre) e analizzato in laboratorio le parti in pelo. La risposta, riportata dal Mirror, è sorprendente: in molti casi quello che era indicato come materiale sintetico si è rivelato essere vero coniglio, volpe o cincillà. Gli animalisti puntano il dito contro la pratica truffaldina, gli e-tailer promettono misure contro i distributori fedifraghi. Noi prendiamo atto del paradosso: le fake news della moda responsabile producono il raggiro della vera pelliccia nascosta sotto etichette false. Ma i radical green sembrano non curarsene e continuano a stringere nella loro tenaglia tutti i materiali di origine animale. Dalla Francia arriva la notizia che l’associazione L214 (dal nome della prima legge transalpina sul welfare animale) ha pubblicato lo scorso 19 dicembre un’inchiesta su un allevamento, che gode anche di sostegno pubblico, di conigli nella regione della Nuova Aquitania. Il centro possiede animali della varietà Rex, allevati sia per la loro carne che per la pelliccia (venduta, secondo le Monde, a brand come Dior, Fendi e D&G). Secondo L214, che ha presentato anche un esposto in Procura, i conigli sono cresciuti in maniera non consona alla loro indole anche, e soprattutto, per proteggerne la cute da eventuali incidenti. Neanche questo va bene. Avanti un altro.
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