La Commissione Bilancio del Senato ha approvato l’emendamento che vieta in Italia gli allevamenti da pelliccia. La manovra, ora, attende entro la fine dell’anno il voto del Parlamento che, secondo i retroscena giornalistici, è certo. L’Italia, dunque, si appresta ad unirsi al novero di Paesi europei nei quali è proibito allevare gli animali (visoni, in primis, ma anche procioni o cincillà) allo scopo di ricavarne la pelliccia. Duro il commento affidato da AIP (associazione federata a Confindustria Moda) a una nota. “Il voto all’emendamento alla Legge di Bilancio – scrivono – è arrivato senza discussione parlamentare, senza alcun confronto con gli operatori, senza adeguati indennizzi, inserendolo in un provvedimento che dovrebbe rilanciare l’economia”.
Lo stop agli allevamenti da pelliccia
L’emendamento consente agli allevamenti di mantenere in deroga gli animali già presenti nelle strutture fino al giugno 2022. Si prevedono 3 milioni di euro per gli indennizzi. Che saranno riconosciuti (a chi detiene il codice di attività) per ogni animale posseduto alla data di entrata in vigore della legge, insieme a un contributo a fondo perduto pari al 30% del fatturato nell’ultimo ciclo produttivo. Inoltre, agli allevamenti di animali da pelliccia spetta anche un contributo a fondo perduto (massimo 10.000 euro) per le spese di demolizione degli impianti o di riconversione in attività agricola diverse. Alle aziende sarà messa a disposizione la possibilità di ottenere fondi del PNRR per lo sviluppo agrivoltaico e la creazione di parchi agrisolari.
La denuncia di AIP
“Questo voto cancella un pezzo di made in Italy e un intero settore produttivo – dichiara Roberto Tadini, presidente di AIP (Associazione Italiana Pellicceria) – quando c’è una pandemia in corso. Gli allevamenti di visoni italiani sono un’attività legittima, regolamentata, certificata, controllata. Garantiscono una produzione di qualità, sono ispezionati da revisori autonomi e seguono il protocollo WelFur per il benessere degli animali in allevamento, il sistema riconosciuto dalla Commissione Europea e inserito nella banca dati sull’autoregolamentazione”. Resta un’ultima speranza: “Il nostro appello va al presidente Draghi e al suo senso di responsabilità – conclude Tadini –. Bisogna rivedere quella che a nostro parere è stata un’operazione ideologica inserita in una Legge senza avere alcun legame con necessità di bilancio di Stato”.
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