A sentire Pietro Beccari, presidente e CEO di Dior, ne è valsa la pena. Perché il risultato è una super-boutique dall’effetto wow. Ma ristrutturare Avenue Montaigne (nella foto) ha implicato la chiusura al pubblico dello store più remunerativo della griffe per oltre due anni. Una decisione per la quale, ammette Beccari, c’è voluto un pizzico (eufemismo) di follia.
Ristrutturare Avenue Montaigne
Dunque, il rifacimento del palazzo al 30 di avenue Montaigne (13.600 metri quadri su cinque livelli in centro a Parigi) ha richiesto oltre due anni di lavori. In piena pandemia. Quanto sono costati? “Non si può dire – risponde Beccari a MFF–. I sogni non hanno un prezzo”. Il pubblico potrà scoprire i risultati domenica, quando lo store riapre. Beccari, intanto, è sicuro che con questa mossa la griffe alza l’asticella del retail di lusso.
La follia che c’è voluta
“Nel 2018 ero appena arrivato da Dior e mi domandavo cosa potessi fare di più su un marchio che negli anni era stato gestito così bene – ricorda il CEO –. Mi sono allora presentato da Bernard Arnault (CEO del gruppo capofila LVMH, ndr) e gli ho detto: Ho avuto un’idea, chiudiamo avenue Montaigne”. Vaste Programme, direbbe De Gaulle. Perché si trattava del “negozio più grande del mondo e con il fatturato maggiore – riconosce Beccari –. Volevo fare qualcosa di speciale rispetto ai competitor, spostando i parametri del lusso e creando un universo Dior. Questa è una macchina da guerra di storytelling”. Arnault si è dimostrato a sua volta abbastanza folle da approvare il progetto: “Un imprenditore lungimirante: mi ha dato fiducia – conclude Beccari – e non mi ha tartassato sui conti”.
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