Adieu alla boutique milanese di corso Venezia 3. Prada ritocca la propria rete di retail e per il 2016, a fronte di 20 nuove aperture, pianifica 25 chiusure. Tra gli store sacrificati c’è quello milanese da 500 metri quadri, inaugurato 10 anni fa. La maison di Miuccia e Patrizio Bertelli non è l’unico player che riforma (o, nel caso, rivoluziona) la ramificazione delle attività di vendita. Ci sono due parole chiave nella distribuzione: la prima fatturato; la seconda è redditività per metro quadro, cioè quanto il singolo store è efficace. I consumi sono in trasformazione e le risposte agli effetti della crisi, dunque, sono diverse. Rimanendo alle ultime notizie di cronaca, la statunitense Macy’s, gruppo della grande distribuzione da 769 punti vendita, ha annunciato un parziale trasloco online. Al quarto trimestre consecutivo di numeri negativi (il primo del 2016 ha registrato il -7,4% per le vendite, il secondo il -4%), il colosso studia la chiusura di 100 negozi e la cessione di diversi immobili di prestigio a New York e San Francisco per drenare risorse da investire nei canali online. Parte della ramificazione retail, dunque, dal reale passa al virtuale. Chi ha calato per sempre la claire, invece, è la britannica BHS (British Home Stores). Domenica 28 agosto hanno chiuso gli ultimi 22 store, mentre nelle settimane precedenti avevano avuto la stessa sorte 141 negozi. Mentre la catena (storia quasi secolare, 11.000 dipendenti prima della crisi) esalava l’ultimo respiro, il suo controverso ex patron, sir Philip Green, era in crociera con il suo yacht nel Mediterraneo. Contro di lui, per 15 anni titolare del gruppo, prima di assegnarsi 400 milioni di sterline di dividendi e vendere nel 2015 la società per un pound, gli strali della politica, che già a luglio lo ha messo al centro di una commissione parlamentare per il crac di BHS. (rp)
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