La morsa della pandemia non è alle spalle. Ma, per lo meno, si stava attenuando. Per il retail italiano, reduce da due anni di crisi, il 2022 si promette ancora difficile. I consumatori, come riporta il monitor Confimprese EY, viaggiano con il freno a mano tirato. Mentre sullo sfondo ci sono una crisi energetica e la guerra in Ucraina.
Il retail italiano
Ecco, partiamo dalla congiuntura. A febbraio le vendite di abbigliamento e accessori hanno segnato il -24,9%, secondo l’Osservatorio sui consumi di mercato di Confimprese-EY. Il commercio al dettaglio in generale evidenzia un calo complessivo del 14,7%, inclusa la ristorazione. “I primi due mesi dell’anno, nel complesso – commenta Mario Maiocchi, direttore del Centro studi retail Confimprese -, sono segnati dal -20,9%. Vuol dire che il 2022 sarà un altro anno molto difficile per il retail. Non solo i consumi sono ancora distanti dai livelli pre-pandemia e, a esclusione di poche eccezioni, non mostrano segni di particolare dinamicità. Ma la situazione si è ulteriormente aggravata sul lato costi”.
I negozi di Milano
A proposito delle difficoltà dei negozianti, vale la pena leggere cosa dice Marco Barbieri, segretario generale di Confcommercio Milano, a Il Corriere della Sera. Così da passare dal generale al particolare. “Ognuno deve fare la propria parte e noi l’abbiamo sempre fatta – premette –. Però vorrei fosse chiaro il contesto in cui ci muoviamo. Usciamo da una pandemia e siamo entrati in una crisi energetica sullo sfondo di un conflitto internazionale”. Nel semestre gennaio giugno si stima +164% per l’energia. E non si può non tenerne conto. Nel capoluogo lombardo sono due i punti all’ordine del giorno. Il primo riguarda l’obbligo di chiudere le porte per i negozi che non hanno lame d’aria all’ingresso: “Facciamo una considerazione di semplice buon senso proprio dal punto di vista del risparmio energetico: non sarebbe meglio tenere le porte aperte invece di avere l’aria condizionata accesa al massimo già in primavera?”. Per questo chiede una nuova proroga: “Sarebbe una cosa di buon senso riparlarne a gennaio”. Il secondo, invece, riguarda l’eventualità di spegnere le luci delle vetrine a chiusura del negozio. “Anche in questo caso la questione è molto pratica. Se si spengono le luci, si ottiene una città più buia e quindi meno attrattiva e meno sicura. È questo che vogliamo?”. D’altronde, nel trade-off tra spegnere le vetrine, ma chiudere le porte e accendere i condizionatori, rimane preferibile evitare la seconda indicazione: “Tenendo le porte aperte si risparmia di più”.
In foto (d’archivio Shutterstock) boutique chiusa in Galleria a Milano
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