Non c’è da immaginare che l’e-commerce fagociti l’intera distribuzione moda. I negozi hanno futuro, specie in Italia, al punto che conviene investirci. Se lo dice Giovanni Tamburi, anima del fondo TIP, c’è da crederci. In carriera, con gli investimenti in Moncler, Furla e Ferrari, ha bazzicato la moda e l’alto di gamma. Oggi con la quota del 23% di OVS è impegnato in un segmento dove la distribuzione fisica è ancora più importante. Certe indagini di mercato confermano la sua fiducia nella resilienza del brick & mortar. Ma, intanto, la crisi scatenata dal coronavirus è oggi. E bisogna vedere quanti store sono capaci di sopravviverle.
I negozi hanno futuro
“Non credo che il mondo dei negozi fisici, con la gente che va di persona a comprare, sia destinato a scomparire – dice Tamburi a Il Sole 24 Ore –. Anzi, credo che il click dallo smartphone sia già in una fase di decelerazione della crescita. Dopo un po’ le persone si stufano: manca l’emozione, non c’è più esperienza”. Se la pandemia ha impresso un’accelerazione ai processi digitali, lo stesso clima cupo del social distancing può favorire il fisico. “La gente, che è stata obbligata a stare chiusa in casa per mesi – si chiede il manager –, vorrà andarsi a gratificare comprando?”. Questo non vuol dire trascurare l’e-commerce, ma inserirlo in strategie che prevedono un ruolo importante del fisico. Specie dalle nostre parti. “L’Italia, tra l’altro, sarà il fanalino di coda di questa transizione verso il digitale”. Perché? “Per un misto di refrattarietà alla tecnologia – risponde Tamburi –, diffidenza verso l’innovazione e l’atavico vizio italico a eludere i controlli”. D’altronde, osserva il manager, siamo lo stesso Paese in cui, malgrado l’esistenza da lungo tempo di metodi di pagamento elettronici, in autostrada “spesso c’è la fila ai caselli”.
La ricerca di mercato
Gli italiani, in effetti, non si dicono disinteressati al retail fisico. Anzi. È quanto emerge dalla ricerca del Reputation Science per Open Fiber. Nel 2020 il 75% degli intervistati ha fatto acquisti online, certo. Il 13,7% non in prima persona, magari, ma facendosi aiutare. Eppure, come riporta il Sole 24 Ore, solo il 5,6% dei nostri connazionali farebbe uso esclusivo dell’e-commerce. Il 48,8% del campione preferisce che i canali di distribuzione coesistano. Mentre il 45,6%, interrogato sulla eventualità della loro scomparsa, auspica che i negozi resistano alla crisi.
Ma la crisi è ora
Spostando l’attenzione dalle proiezioni future alle emergenze attuali, risulta che il retail italiano è già devastato dalla crisi. “Le imprese di abbigliamento, calzatura e pelletteria sono di fronte a un baratro – ha detto Renato Borghi di Federmoda Italia Confcommercio, intervenendo a Porta a Porta –. Prevediamo la chiusura di 20.000 punti vendita in Italia; una perdita di 20 miliardi di euro di fatturato e il rischio occupazionale per 50.000 persone”. Per evitare il peggio, tutti sono chiamati a fare la propria parte. “Al Governo chiediamo contributi a fondo perduto con ristori o meglio indennizzi riferiti al mese di novembre – conclude Borghi –. Ai consumatori che ritornino a comprare nei negozi di prossimità. A Confindustria Moda che si sieda con noi a un tavolo sul grave problema delle rimanenze”.
Foto Imagoeconomica
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