Altro giro, altra corsa. Da NY si passa a Londra: cala il sipario sulla Fashion Week della Grande Mela (13-16 settembre), si alza sull’evento britannico. Qui, dal 17 al 22 del mese si terranno 30 eventi fisici, mentre circa 50 brand hanno preparato presentazioni digitali. Ci sarà Burberry e anche J.W. Anderson e Victoria Beckham.
Da NY a Londra
Fuori dal periodo più buio del lockdown, ma ancora alle prese con la pandemia da coronavirus. Il round delle fashion week mette il sistema della moda alla prova delle soluzioni ibride che contemplano reale e virtuale. Ed è su questo che il New York Times interroga Virgil Abloh e Antoine Arnault, rispettivamente direttore creativo della linea Uomo di Louis Vuitton e dirigente di LVMH, gruppo che controlla la stessa LV.
Le opinioni di Arnault e Abloh
La prima domanda, dunque, è sull’effettiva utilità di partecipare alle settimane della moda. Nelle risposte dei due pesa la differenza dei ruoli: artistico del primo, amministrativo del secondo. Dunque, per Abloh la fashion week rimane un momento imprescindibile: “Assistiamo a un momento spartiacque – dice a proposito della possibilità che le presentazioni escano dalle prassi – affinché la prossima generazione prenda il posto che gli spetta. Conosciamo i nomi di Lagerfeld, Margiela e Saint Laurent perché hanno rivoluzionato l’industria passando dalla couture al ready-to-wear. La mia generazione ha portato lo streetwear e ora ne vediamo gli effetti sul lusso. Credo sia il momento in cui possiamo ridefinire cosa significa la moda”. È più pragmatico l’approccio di Arnault: “Per i marchi più piccoli saltare una stagione o due ha senso – spiega –. È un’attività costosa. E quando capiscono quanto si risparmia astenendosi dagli show, si prova una sensazione di sollievo. Per i brand che hanno i mezzi per produrre le sfilate, è, invece, fantastico avere questo mondo di creatività dal vivo. Non è una scelta personale, ci gira una economia intorno”.
Accordo e disaccordo
I due, insomma, sono d’accordo, pur arrivando alla stessa conclusione da prospettive diverse. “Sfilare non è essenziale, ma c’è il bisogno di far vedere che cosa si sta creando”, assicura Arnault. Stilista e manager, invece, non sono d’accordo quando si tocca un altro tasto di quelli sollevati dalla pandemia: NYT lo definisce il problema della “sovrapproduzione”, ovvero l’istanza sollevata da molti che l’alto di gamma si riallinei su ritmi meno ipertrofici. “Nell’ultima collezione per Louis Vuitton – continua entusiasta Abloh – ho debuttato con l’idea di racchiudere tutte le stagioni in una collezione sola”. “Ma c’è anche una realtà di mercato che dobbiamo comprendere – raddrizza il tiro Arnault –: non sono sicuro che faremo una sola stagione per tutti i nostri brand, cambierebbe davvero il business”.
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