La piattaforma di analisi della sostenibilità Higg Inc non c’è più. Fino a un certo punto, ovviamente, perché ha cambiato nome e, da oggi, si chiama Worldly. Una decisione presa con lo scopo di ridurre la confusione su chi sia e cosa faccia Higg Index, il controverso indice green sviluppato da SAC – Sustainable Apparel Coalition di cui Worldly diventa “licenziatario esclusivo”. SAC manterrà una partecipazione azionaria nella nuova società. Jason Kibbey, CEO di Worldly, afferma candidamente che le accese discussioni sull’effettiva capacità dell’indice di misurare con esattezza l’impronta di un materiale, sono uno dei motivi che hanno suggerito il rebranding. Il tentativo è, dunque, quello di rifarsi la reputazione.
Rifarsi la reputazione
Kibbey ha paragonato SAC a uno studio cinematografico e Worldly a Netflix. Worldly continuerà a “trasmettere” i “film” di SAC, ovvero Higg Index, ma potrebbe anche fare lo stesso per uno “studio” diverso. In altre parole, “potrebbe creare dei film propri”. “Abbiamo capito – ammette Kibbey – che dovevamo costruire nuovi strumenti che permettessero di gestire molte parti della catena del valore che non sono ancora state toccate” (fonte Sourcing Journal).
Le lacune di Higg Index
Ecco, quindi, perché Wordly ha lanciato Factory Data Solution, un nuovo strumento di dati management per “semplificare e accelerare il processo di raccolta dei dati sull’impatto ambientale dalle fabbriche e la loro catena di fornitura. Rispondere alla domanda: quante fabbriche ci sono nella filiera produttiva di un’azienda, è difficile – dice Kibbey -. Ciò è dovuto a quei piccoli fornitori a monte che sono un po’ fuori dal network. Spesso sono invisibili“. John Armstrong, Chief Technical Officer di Worldly, commenta a Business of Fashion: “Pensiamo davvero che questo strumento aiuterà a colmare le lacune nei dati”. Lacune che non erano certo passate inosservate.
I limiti dei marchi
Perché Worldly, quindi? “I marchi – risponde Kibbey -, che magari pensavano che la sostenibilità fosse solo una cosa bella da avere, ora dovranno integrarla nelle loro pratiche commerciali. Non è un segreto che i marchi non riescano a realizzare le loro ambizioni in materia di emissioni di carbonio”. (mv)
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