Un sistema dell’alto di gamma che si muove in ordine sparso e un ecosistema italiano che stacca i concorrenti per qualità dell’impegno. Pochi giorni fa Claudio Marenzi, presidente di Confindustria Moda, definiva la sostenibilità “una bufala”: un tema sul quale le griffe internazionali spendono nella misura in cui per loro è marketing, mentre le nostrane per un più ampio senso di responsabilità (i cui risultati sono difficili da comunicare al pubblico finale). Ora Standard Ethics, agenzia britannica che valuta come le corporation applicano le indicazioni su sostenibilità ambientale e sociale date da istituti come ONU, OCSE ed UE, per poi esprimere un rating sulle corporation stesse, fornisce un quadro che conferma la denuncia di Marenzi. Spulciando i risultati dell’agenzia, si scopre che i brand italiani sono quelli che ottengono valutazioni mediamente migliori: è così per grandi gruppi come Tod’s e Ferragamo (rispettivamente E ed E+), mentre registra una buona performance Stefano Ricci e vive aspettative positive Moncler (il cui E va incontro a rialzo). Mentre il colosso spagnolo Inditex (Zara, per intenderci) ottiene un poco lusinghiero E-, i conglomerati francofoni Kering e Richemont più che dal rating sono appesantiti dall’outlook stabile. Vale a dire che Standard Ethics non si aspetta passi avanti da loro. Stando a quanto riporta Milano Finanza Fashion, le perplessità degli analisti derivano da “strategie di sostenibilità di lungo termine spesso influenzate da proprie interpretazioni”. Insomma, fanno un po’ come gli pare.
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