Diventare campioni di sostenibilità quando le Borse vedono il tuo titolo cadere in picchiata. Capita agli inglesi di Burberry, che in poche ore inanellano due primati. Innanzitutto si qualificano, in una settimana orribile in cui il FTSE 100 (l’indice delle società più capitalizzate quotate a Londra) arretra in blocco, come il titolo che è tra le performance peggiori. Dopo la pubblicazione di un report secondo il quale Burberry si accinge a tagliare i prezzi a Hong Kong e in Cina per compensare le ripercussioni della sterlina debole, le quotazioni perdono il 2,2%. Al contempo, però, la maison inglese (che a luglio ha affidato all’italiano Marco Gobbetti il ruolo di ceo e il compito di risollevarla dalla congiuntura infelice) vince la palma di impresa moda più sostenibile. L’edizione 2016 del Dow Jones Sustainability Index (DJSJ) riconosce a Burberry il posto più alto del podio (negli ultimi anni occupato dal gruppo Kering) delle griffe che hanno compiuto i maggiori sforzi su argomenti come impatto ambientale e sociale. Per la maison britannica non è un’onorificenza fine a se stessa. Il DJSJ, nato nel 1999 con l’obiettivo di monitorare le società Dow Jones Global Total Stock Market Index, con le sue classifiche è capace di creare un’aura positiva intorno ai brand e condizionare le intenzioni degli investitori. Agli ambientalisti il DJSJ non piace proprio per il suo profilo di possibile strumento di marketing in più nelle mani delle corporation. Vediamo se è vero e se questa volta un aiutino green permetterà a Burberry di invertire la rotta in Borsa. (rp)
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