È importante che anche sulla stampa generalista si cominci a parlare di pelle vegana per quello che è: un bluff linguistico, cioè una scorciatoia di marketing. In questo caso ad assumersi l’onere è Leonardo Attilieni (in foto, da Instagram), giovane imprenditore che, oltretutto, eleva i materiali alternativi alla pelle a simbolo di tutte le piccole furberie di cui i brand sono capaci per vendere l’idea di aver raggiunto presto un obiettivo difficile come la sostenibilità. Attilieni di moda ne capisce, perché rappresenta la seconda generazione di Lelli Kelly e del marchio calzaturiero ricopre il ruolo di art director & head of digital. Ma con il Riformista parla nella veste di cofondatore di Stelt, piattaforma e-commerce di vini e distillati di alta gamma.
La pelle vegana per quello che è
Insomma, anche in un’intervista a proposito del ricco mercato dei vini di lusso si arriva a parlare di sostenibilità. Qual è l’approccio di Stelt, chiede l’intervistatore? “Certo che sono attento all’ambiente – risponde Attilieni –, ma c’è anche la vita reale dove non si può sempre scendere a compromessi”. In che senso? “Guarda nella moda – continua lui –, molte grandi aziende che qualche anno fa si erano unite decidendo di usare solo pelle vegana (espressione vietata in Italia dal Decreto Pelle, ndr) ne stanno uscendo perché non è sostenibile. Ognuno nel suo piccolo può cercare di ridurre la propria impronta ma poi bisogna essere anche pratici”. Capito? Si può lavorare sulla sostenibilità senza rincorrere gli slogan. Soprattutto quelli con le gambe corte.
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