Se n’è cominciato a parlare in estate. La quarta edizione del Net Zero Report di South Pole rinverdisce il tema: dopo anni di sbornia greenwashing, s’avanza la prudenza del greenhushing. Il 44% di un panel di 1.400 imprese da tutto il mondo si dice intenzionato a diminuire le comunicazioni a proposito degli obiettivi ambientali, con una punta del 60% nel settore moda e retail. Ma tanta prudenza è solo uno degli effetti del climate change sulla moda: dell’impatto, a tutto tondo, parliamo sul n. 1 – 2024 del mensile La Conceria.
Il fenomeno del Greenhushing
Come sintetizza Il Sole 24 Ore, sono due le ragioni che spingono le aziende al greenhushing, cioè al praticare maggiore discrezione sugli obiettivi di sostenibilità. Il primo riguarda lo spigoloso rapporto con i legislatori nazionali e internazionali: in un quadro normativo spesso mutevole, e spesso senza neanche chiarezza su quale sia l’indirizzo di tali mutamenti, è meglio non assumersi la responsabilità di risultati che potrebbero rivelarsi irraggiungibili per cause esterne. Il secondo riguarda, invece, i rapporti tra le stesse aziende e l’opinione pubblica: posto pubblicamente un obiettivo, investitori e clienti vorranno sapere se e come è stato conseguito.
Gli effetti del climate change
Comunicazione, certo. Ma anche design del prodotto, distribuzione e la stessa conformazione delle fabbriche. Ne parliamo su “Gli Effetti sulla Filiera della Moda del Cambiamento Climatico”, mensile n. 1 – 2024 attualmente in distribuzione presso gli abbonati. Imprenditori e consulenti ci spiegano come il fashion system si sta adeguando alla grande sfida della sostenibilità. Non solo: sullo stesso numero parliamo con Kerry Senior (Leather UK) delle prospettive formative al servizio della pelle inglese, delle startup conciarie e del declino delle alternative.
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