C’è qualcosa di beffardo nella circostanza che il più grande problema delle start-up che si presentano come paladine della sostenibilità ambientale sia l’insostenibilità economica. Business of Fashion, indagando nelle ragioni dell’inaspettato stop di Mylo, il tessuto fungino di Bolt Threads che ha sospeso per indisponibilità finanziare le produzioni, ha individuato il tallone d’Achille dell’intero comparto delle alternative vegane alla pelle. Che si sono vendute con battenti campagne di marketing come la soluzione green della moda (senza essere capaci di dimostrarlo). E che sono costosissime da scalare a livello industriale, quindi poco remunerative per gli investitori. Su di loro, oltretutto, grava un enorme punto interrogativo sul mercato. Perché “contrariamente a quanto dicono i risultati di allegri sondaggi – si legge –, non ci sono prove empiriche convincenti che i consumatori pagheranno di più per la moda sostenibile”.
Ottimismo da ufficio marketing
Lo stop di Mylo, riconosce BoF, è stato un colpo. Perché, insomma, se non ce la fa “un pioniere molto abile nel fundraising” in virtù dei “330 milioni di dollari raccolti dal 2009”, chi ce la può fare a scalare le dimensioni di mercato? Uno dei problemi, sostiene l’autrice dell’editoriale, è nel modo in cui si sono presentati i produttori delle alternative veg. “Se uno dovesse giudicarne i progressi sulla base dei comunicati stampa, sarebbe tutto rose e fiori”. Ma tanto ottimismo da ufficio marketing si è rivelato un boomerang. La divulgazione pressapochista della natura e delle caratteristiche dei cosiddetti materiali next gen “ha reso difficile capire in che modo sarebbero davvero all’altezza della sostenibilità – osserva BoF –. Ad esempio, pare che i tessuti veg possano generare meno emissioni di carbonio rispetto alla pelle bovina. Ma la maggior parte di loro include polimeri sintetici. Di conseguenza, presentano a loro volta sfide ambientali, come la biodegradabilità”. In questo senso, osserva BoF, vale anche la pena chiedersi quali siano le priorità del fashion system: se il 70% dell’impatto deriva dal processo produttivo, ha più valore chiedere ai fornitori di cambiare le caldaie.
L’insostenibilità economica
Dan Widmaier, CEO di Bolt Threads, lamentava con Vogue Business che gli investitori preferiscono la tecnologia ai materiali veg. Non è difficile capire perché, risponde a distanza BoF: i materiali veg sono di equivoca utilità, dicevamo, e soprattutto economicamente svantaggiosi. Sono costosi e, quindi, poco remunerativi. Per questo “le start up sono costrette a vendere in perdita o a limitarsi a programmi pilota”. Non ci si può sorprendere, allora, se un investitore preferisce allocare i propri capitali sull’hi-tech. “Una volta inventata una soluzione software, il costo marginale della seconda, terza e milionesima vendita è vicino allo zero – chiosa BoF –. Al contrario, una volta inventato un nuovo materiale, i costi marginali delle vendite successive sono quasi gli stessi. È solo con la scalabilità che i costi iniziano a diminuire”. Insomma, i materiali next gen corrono il serio rischio di essere già past gen.
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