Bene, i media continuano a interessarsi al tema della sostenibilità della moda. Bene, ma non benissimo. Perché, se lo scopo di questa rubrica è individuare i fili conduttori salienti nella rassegna stampa internazionale, dobbiamo notare che tra i media la trazione veg è sempre preponderante. Sarà pigrizia, sarà che certe redazioni guardano con simpatia a quel mondo, sarà il riflesso pavloviano (e poco logico) di trattare gli aggettivi vegan e green come sinonimi, ma la cantonata animalista è frequente. E la cosa, va da sé, non rende un buon servizio né all’industria né all’opinione pubblica.
Consigli di lettura:
- Sulle conclusioni c’è da mettersi d’accordo: si può essere d’accordo oppure no. Perché Time scrive che, in estrema sintesi, l’unico consumo sostenibile di prodotti della moda è quello parsimonioso. Il focus dell’articolo, però non è questo: la cosa più interessante è la critica che opera la testata ai servizi di riciclo, riutilizzo e nolo degli articoli fashion;
- A proposito di trazione veg, non si può che biasimare il modo in cui CNN, riprendendo un testo già pubblicato da BoF, fa grancassa della propaganda di PETA;
- Non se la cava affatto meglio Marie Claire, che finisce per accodarsi alla retorica che una moda senza materiali animali sarebbe di per sé migliore perché “cruelty free”. La testata francese, però, rincara la dose sostenendo che i materiali alternativi “bio-based” siano migliori dei vecchi tessuti, perché non sono più plastici: le cose, dimostrano le ricerche, non stanno affatto così.
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