Il no al canguro di Versace e Diadora non è vera sostenibilità

Il no al canguro di Versace e Diadora non è vera sostenibilità

Prima Diadora, a fine ottobre 2019. Ora Versace. I due brand, rispettivamente dello sportswear e del lusso, dicono insieme no al canguro, bandendone la pelle dalle future collezioni. Lo fanno perché sollecitati da LAV (Lega Anti Vivisezione), che sul tema ha obiettivi ancora più grandi. Quali? Il boicottaggio assoluto del materiale, con tanto di relativo divieto del commercio internazionale, per “salvare l’animale simbolo dell’Australia” da un presunto rischio estinzione. Ma si sbagliano tutti: il no al canguro non è vera sostenibilità. L’impiego della sua pelle, al contrario, rappresenta un caso esemplare di economia circolare.

Come stanno le cose
C’è un primo dato da mettere subito in chiaro. Esistono oltre 40 specie di canguro, ma solo quattro sono soggette ad abbattimento: Western Grey Kangaroo, Eastern Grey Kangaroo, Common Wallaroo e Red Cangaroo. Nessuna di queste, ça va sans dire, è a rischio estinzione. Anzi. La caccia ai marsupiali è da decenni strettamente regolata dal governo australiano a fini conservazionisti e di equilibrio della biodiversità. Il monitoraggio sulla popolazione è continuo ed estremamente preciso: secondo i dati del Dipartimento per l’Ambiente, nel 2018 la popolazione di canguri nelle “harvest zones” superava 42 milioni di unità.

Che vuol dire commerciale?
In Australia la raccolta di canguri a fini commerciali è disciplinata da una legge del 1999 (Environment Protection and Biodiversity Conservation Act). Le best practice che gli operatori del settore devono seguire nelle fasi della raccolta sono definite dal National Code of Practice for the Humane Shooting of Kangaroos for Commercial Purposes. Il codice è sviluppato dal Natural Resource Management Ministerial Council del governo australiano con il contributo di scienziati, legislatori e gruppi per il benessere animale.

Disposizioni scientifiche
A proposito di decisioni science-based, ogni anno il governo australiano, su disposizioni di un panel indipendente di scienziati, naturisti e animalisti, stabilisce le quote di marsupiali da abbattere in circoscritte zone di caccia. La quota annuale è pari a circa il 15% della popolazione totale, ma l’abbattimento effettivo è inferiore ai due terzi della quota stessa (quindi attorno ai 3-4 milioni di esemplari). Tutti i player della filiera sono sottoposti a frequenti audit da parte delle autorità. Ogni capo è subito associato a un tag che permetterà la tracciabilità della sua pelle.

Qual è il punto
Gli animalisti di LAV sono convinti che boicottare nella moda l’uso della pelle di canguro rappresenti “un gesto simbolico e insieme estremamente concreto per contribuire a salvare l’animale”. Sbagliano, così come sbagliano Diadora e Versace a dar loro retta. La prima ragione di abbattimento selettivo dei canguri, dicevamo, è la tutela della biodiversità: le quattro specie in questione, lasciate libere di proliferare, rappresenterebbero una minaccia per l’ecosistema. Non solo. Il primo prodotto sfruttato a fini commerciali del canguro è la carne: solo dopo viene la pelle, tracciata già alla fonte. Il ruolo della concia, in questo senso, è  ancora e sempre di pura circolarità: recupera un vero e proprio scarto.

Controindicazioni
Il successo su scala globale di una campagna di boicottaggio del canguro avrebbe un solo risultato. Non aiutare i marsupiali, come vorrebbero i promotori, ma bensì disarticolare il sistema australiano, disposto dalle autorità su basi scientifiche, della caccia selettiva. L’unica alternativa che rimarrebbe sul campo, a quel punto, sarebbe la caccia priva di regole di fattori e allevatori che difendono le proprie proprietà da un animale che può rivelarsi anche infestante. Per i canguri, tutte le specie di canguri, non un grande sostegno.

Foto da Wikipedia

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