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Il filo conduttore è la necessità di dare alla pelle il massimo (e ulteriore) orizzonte green possibile. E la parola chiave è “biodegradabilità”. Un concetto complesso, ma di importanza strutturale. Come dimostrano il lavoro di ricerca di Laboratori Archa e gli obiettivi del suo protocollo. Ce ne parla l’amministratore delegato Fabrizia Turchi.
Archa e il suo protocollo
Prima di tutto: chi è e come nasce Laboratori Archa?
Archa nasce nel 1989 come struttura tecnico-analitica a supporto dell’attività professionale di consulenza ambientale alle industrie. Si è sviluppata articolando la sua attività in termini analitici, sia in campo chimico che biologico, e svolgendo, dal 2001, ricerche applicate a numerose tipologie di problematiche aziendali. Il tema ambientale e l’economia circolare sono da sempre tematiche di punta. Archa ha un organico di 50 addetti di cui l’80% laureato in discipline scientifiche. E ha ottenuto i più importanti riconoscimenti in ambito Innovazione, Qualità, Ambiente, Sicurezza e Industria 4.0.
In che modo il tema della biodegradabilità (in generale) è entrato a fare parte dei vostri programmi di sviluppo?
Archa rappresenta uno dei pochi laboratori di riferimento per le prove di biodegradabilità e compostabilità sui materiali plastici (4 in Italia, 9 in EU e 1 in America) in riferimento all’ottenimento del marchio Ok Compost rilasciato dal TUV Austria. Sul tema della biodegradabilità e sostenibilità dei materiali, dal 2012 porta avanti con partenariati internazionali progetti finanziati dai programmi EU: 12 finora, di cui 6 ancora in corso.
Quando e perché avete deciso di applicarlo alla pelle?
Da questa esperienza nasce la competenza nell’ambito della biodegradabilità. La quale, unita alla conoscenza specifica e approfondita dell’ambito conciario ha permesso di mettere a punto un disciplinare per la biodegradabilità di pelli e cuoi. Oltre a ciò, anche avere una struttura tecnico analitica qualificata e dotata di strumentazione adeguata e dedicata allo scopo ha reso possibile estendere il protocollo.
La biodegradabilità della pelle
In che modo quella della biodegradabilità delle pelli va ritenuta una sfida?
Quello ambientale è, ormai, un importante fattore di competitività. È un ulteriore valore aggiunto immateriale per le produzioni italiane. Un valore per il quale le grandi di firme della moda richiedono da tempo standard elevati di sostenibilità lungo tutta la filiera dei fornitori. In particolar modo lo chiedono alle concerie, in quanto principali attori della manifattura di calzature, abbigliamento e pelletteria. Archa, a supporto della valutazione della circolarità e degli impatti ambientali associati alla produzione di cuoio e pellame, ha messo a punto una modalità scientifica per dare garanzie di sostenibilità di prodotto e di processo. E dall’inizio del 2019 ha iniziato a lavorare per mettere a punto il protocollo.
Su cosa si basa il vostro protocollo di biodegradabilità delle pelli?
Il nostro protocollo sperimentale si basa su metodiche riferite a normative ufficiali atte a valutare la biodegradabilità di cuoi e pellami in due ambienti di prova distinti. Il primo: in un mezzo liquido ad opera di microrganismi aerobici presenti nei fanghi attivi di impianti trattamento reflui dal comparto conciario (ai sensi della metodica descritta nella norma UNI EN ISO 20136: 2020). Il secondo: in condizioni di compostaggio aerobico, ai sensi della norma UNI EN ISO 14855-1:2013.
Il marchio
E in cosa consiste?
Il protocollo sperimentale descrive l’impiego di metodiche riferite a normative ufficiali che valutano alcuni aspetti. Per esempio, il contenuto dei principali metalli pesanti e del fluoro negli articoli in cuoio e pelle. Oppure, la disintegrabilità di cuoi e pellami in un ambiente che simula le condizioni controllate di compostaggio aerobico. Poi, la valutazione dell’effetto sulla qualità del compost finale ai sensi della norma UNI EN 13432:2002 e D.Lgs. 75/2010. Infine, quella della fitotossicità del compost finale, ai sensi della metodica OECD No. 208: Terrestrial Plant Test: Seedling Emergence and Seedling Growth Test. Il protocollo o disciplinare per la Biodegradable Leather è stato predisposto da Archa, validato dal Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Università di Pisa ed è verificato da Certiquality. Per mezzo di questo protocollo, in relazione ai risultati ottenuti, è possibile acquisire il marchio BIODEGRADABLE LEATHER che attesta la biodegradabilità dell’articolo in cuoio.
In che modo?
Archa ha stabilito due limiti per rilasciare il marchio. Il rilascio della certificazione BLUE LABEL è subordinato all’ottenimento di un valore di biodegradabilità relativa (ovvero rispetto a quella del collagene) superiore o uguale a 80%. Il rilascio della certificazione GREEN LABEL, invece, è subordinato all’ottenimento di un valore di biodegradabilità, in condizioni di compostaggio industriale, superiore o uguale a 90%.
Concia e comunicazione
Quali altri progetti, oltre a questo protocollo, avete sviluppato in ambito conciario?
Archa lavora in ambito conciario da circa 20 anni proponendo innovazioni di prodotto e di processo. Ne sono un esempio i molti progetti di R&S finanziati da MIUR e Regione Toscana svolti in partnership con aziende conciarie. Inoltre, a dimostrazione della competenza nel settore conciario, Archa possiede 3 brevetti di cui è titolare, 3 di cui è inventore e 1 in procedura di deposito legati allo sviluppo di nuovi prodotti e di nuovi processi
Quanto e come il vostro protocollo può contribuire a rafforzare, in termini concreti e di comunicazione, l’identità green e circolare dell’industria conciaria, in particolare di quella italiana?
I marchi Biodegradable Leather sono elementi distintivi che permettono di dichiarare e, quindi, comunicare ai clienti e ai consumatori finali le caratteristiche di biodegradabilità dei propri articoli per dare garanzie sul fine vita del prodotto. In termini di comunicazione, i due marchi, in due colori, distinguono la biodegradabilità in condizioni di compostaggio industriale e la degradabilità in impianti di trattamento reflui conciari. Garantiscono che sfridi o polveri di pelle e cuoio finiti negli scarichi durante la lavorazione possano essere facilmente biodegradati dagli impianti di trattamento. E, nel primo caso che scarti e ritagli, oltre che il prodotto finito, possano essere gestiti per un fine vita sostenibile e circolare.
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