“Più sostenibile, meno impattante, per niente crudele”. Meglio della concia as usual, verrebbe da dire. Leggendo il pezzo con cui Repubblica presenta Ohoskin, la nuova proposta vegana (l’ennesima) che sostituisce la pelle con una matrice bio-based (arance e cactus) ci si schianta contro la solita propaganda green. Noi non possiamo che provare a ristabilire un briciolo di ragionevolezza in tanta grossolanità. Nonché osservare che, anche questa volta, un nuovo materiale senta il dovere di presentarsi delegittimando e diffamando la pelle, e non semplicemente reclamando le proprie qualità.
La nuova proposta vegana
Dietro Ohoskin ci sono Adriana Santanocito, già tra le promotrici di Orange Fiber, e l’azienda lombarda Novartiplast. Come spesso accade in questi casi, se l’articolo è confusionario lo si deve a un concorso di colpa tra intervistato e intervistatore. È Repubblica a scrivere che “l’industria conciaria è tra quelle con il maggior impatto ambientale dell’intera industria tessile” senza addurre dati o evidenze scientifiche (e derubricando la pelle a un sottoinsieme del tessile). È ancora Repubblica a sostenere che “da tempo è in corso una rivoluzione green del settore”, dove “si studiano processi di produzione innovativi”, suggerendo però al lettore che questa rivoluzione sia merito di startupper alla Santonocito. Le concerie, che investono annualmente nel miglioramento delle proprie performance, come registra il Report di Sostenibilità di UNIC – Concerie Italiane, non sono neanche menzionate. È ancora Repubblica, infine, a usare a più riprese l’espressione “pelle vegana”: nelle sue parole, ad esempio, Novartiplast diventa una “azienda storica specializzata nella produzione di ecopelli”. Così dal quotidiano fondato da Eugenio Scalfari dimostrano di non conoscere la definizione di pelle e il Decreto in vigore dallo scorso da ottobre 2020.
La propaganda dell’innovatrice
In questo contesto Santanocito ha gioco facile a sostenere che la sua iniziativa è “cruelty free”, come si dice nel gergo. Ohoskin “protegge la vita degli animali”, dice. Poi ribadisce: “Un dato che mi ha colpito è che per realizzare gli interni in pelle di un’auto di lusso vengono normalmente impiegati fino a 20 ovini”. Santonocito già a Catania Today aveva affermato: “Mi sono messa a fare ricerca. Ho scoperto che l’industria conciaria sacrifica la vita di miliardi di animali ogni anno”. Sarebbe interessante sapere su che testi ha studiato. Perché dovrebbe essere chiaro, almeno agli addetti ai lavori, che ovini e bovini sono allevati per la loro carne, il loro latte e il loro pelo. Dovrebbe essere noto che per la filiera zootecnica la pelle grezza rappresenta uno scarto destinato alla discarica. Se lo scarto è promosso alla qualità di sottoprodotto, lo si deve alla concia. Sono proprio i bottali, all’interno di una funzione circolare e di upcycling, a trasformare un rifiuto in un materiale di lusso. Ma questo non lo sanno né Santonocito, né i suoi intervistatori. Peccato che nel frattempo, invece di studiare davvero, diffamino la pelle.
Leggi anche: