Il gruppo francese del lusso LVMH possiede concerie, come (in Italia) Masoni. È impegnato lungo tutta la filiera dei materiali animali e sostiene progetti internazionali di conservazione delle specie. Usa le pelli esotiche e, con Fendi, la pelliccia. La sua definizione di sostenibilità, quindi, non è solo retorica, o pleonastica, come in tanti altri casi. Perché la holding della famiglia Arnault, quando nell’alta moda molti preferiscono le scorciatoie, rimane fedele ai propri standard, che antepongono le soluzioni all’insegna della qualità e della coerenza a quelle che puntano al consenso immediato.
La definizione di sostenibilità
Proprio di questo abbiamo parlato per il numero 5 de La Conceria in uno scambio di mail con l’LVMH Environment Development Department. “Isolando temi specifici, inquadriamo le direttrici di lavoro del sodalizio francese in quattro parole: pelle, sostenibilità, pelliccia e metodo”, si legge nella rivista in distribuzione. C’è una quinta parola, però, che riguarda le alternative vegane, “dove ancora non ci sono fornite le risposte e gli interrogativi restano aperti: come fa un gruppo impegnato nella pelle a sostenere iniziative (come Desserto) che quella stessa pelle vorrebbero declassare?”.
Per leggere il servizio, in esclusiva per gli abbonati al mensile, clicca qui
Clicca qui, invece, se non sei ancora abbonato e vuoi scoprire le formule di sottoscrizione
Leggi anche:
- Libertà, sfilate, pellicce: Antoine Arnault (LVMH) la dice tutta
- LVMH apre Nona Source, il re-sourcing B2B dei suoi deadstock
- WWD si fa due domande sulle alternative vegane (consultando FILK)