Come in tutte le cose umane, ci possono essere incidenti di percorso. E il modo in cui SAC ha sbagliato i calcoli e ha visto il proprio Higg Index venire messo in discussione da autorità nazionali ci ricorda che il campo della misurazione e comunicazione dei risultati ambientali non fa eccezione. Di converso, come in tutte le aree dove si registrano molti input (a volte coerenti tra loro, altre divergenti), anche nel campo della sostenibilità del fashion system c’è bisogno di sedersi a “un tavolo comune”, come chiede Marco Palmieri (nella foto). Il CEO di gruppo Piquadro interviene nel dibattito dalle pagine di “Misurazione”, il mensile n.3 – 2023 de La Conceria. E parte da un presupposto molto delicato: “Oggi esistono report non univoci, spesso basati su assunzioni e privi di certezze misurabili – si legge –. Per cui ogni lobby industriale tira l’acqua al suo mulino per dimostrare che il suo prodotto è il più sostenibile al mondo”.
Se SAC ha sbagliato
Da un lato c’è SAC (Sustainable Apparel Coalition). Che ha lanciato nel 2012 Higg Index perché i brand (auto)valutassero l’impatto ambientale di un prodotto lungo tutto il suo ciclo di vita, dalla progettazione allo smaltimento. Bene, a cavallo dell’estate 2022 le autorità norvegesi gli hanno assestato una spallata talmente forte da costringere SAC a un ripensamento dei criteri. Dall’altro c’è Palmieri, che dal punto di vista di chi gli articoli di moda li produce invoca armonia di intenti e (soprattutto) di strumenti. Le vicende sono speculari e trovano entrambe spazio in “ctrl + alt + canc”, articolo del numero 3 de La Conceria. Mensile che contiene questo e molto altro.
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