Argentina di nascita, newyorchese d'adozione, ha sempre sognato di fondare un proprio marchio di accessori. La pandemia, in fin dei conti, le ha fornito il tempo necessario di dedicarsi al proprio progetto
LA COPERTINA
Trasformare un hobby in un lavoro. Lanciare il proprio marchio alla vigilia della pandemia. Coupland Leather sta andando bene, ma il fondatore non vuole parlarne come di un miracolo
Sonja Höchli e Thomas Odermatt hanno rispettivamente 33 e 31 anni. Pensavano al loro brand di calzature da tempo. La pandemia non li ha fermati: nel 2020 hanno lanciato Bold Matters
I fratelli Filippo e Tommaso Grossi lanciano MUTH. E portano nella nuova esperienza tutta la loro conoscenza della pelle e della sua circolarità
Ai primi del 2020 BGBL era un marchio in rampa di lancio. Ma pur sempre una startup. La pandemia poteva compromettere tutto: la designer Elisabetta Viola ha approfittato dello stop per programmare la ripartenza
Ci abbiamo provato, ma non abbiamo trovato traduzioni ugualmente efficaci della definizione che dà il titolo a questo articolo. L’ha coniata British Vogue per descrivere l’approccio stilistico (e non solo) di Daniel Lee, dal 2018 direttore creativo di Bottega Veneta e artefice del suo ritorno, trionfale, sotto i riflettori del fashion system. Riflettori che non si sono abbassati nemmeno nel 2020. Anzi…
L’addio (se di addio si può parlare) di Bottega Veneta e Daniel Lee ai social eleva l’eterno dubbio amletico a una nuova dimensione e, da scelta, si trasforma in un’ambivalente e coesistente possibilità. Perché l’assenza, in un mondo dominato dal marketing e dall’algoritmo, può essere più virale (sia online che offline) della presenza. In questo articolo vi spieghiamo perché
Ma lo diciamo alle nostre condizioni. Non ci sono solo griffe che imboccano la strada del revisionismo social/digitale, come Bottega Veneta. Altre accettano la dimensione online come una necessità, ma la sfidano cercando di ridefinirne i codici. Come nel caso di D&G e Prada
L'acquisizione di Stone Island ha fatto rumore e ora Ruffini è sulla bocca di tutti. Ma il colpo è stato progettato con calma, come tutte le svolte della sua carriera, Moncler inclusa. Perché, sin dagli esordi negli anni '80, a Remo la velocità non è mai piaciuta
Un brand che vuole essere sinonimo di capospalla, certo. Ma Moncler non è solo questo: è, anzi, un'azienda che da sempre si spinge oltre i propri confini (con Ruffini ancora di più)
Ruffini ha in mente un «polo dell'abbigliamento italiano». Ne faranno parte solo Moncler e Stone Island? Se ha intenzione di andare avanti con le acquisizioni, ha solo l'imbarazzo della scelta
Cina ed e-commerce. Asia-Pacifico e attività digitali. Sono le parole chiave della ripresa.. Il business già si muove in direzione del web e dell'Oriente.
Il coronavirus è per le imprese italiane della moda una minaccia epocale. Ma non per questo invincibile. Gli strumenti per reagire ci sono
Azzurra Morelli spiega la strategia di aggregazione industriale condotta da Pellemoda. Perché la strada delle sinergie può aiutare tutti, sia i piccoli che i grandi operatori del made in Italy
Ognuno affronta la crisi dalla sua prospettiva. I problemi del retail non sono gli stessi della manifattura moda. Ma sono molto simili. Per i player indipendenti le soluzioni passano da due leve competitive: autonomia e comunità
Lo sbandieramento mediatico della rinuncia al coccodrillo e qualsivoglia pelle esotica per ragioni definite “etiche” da parte di chi, con questa rinuncia a ben poco rinuncia
La legge federale USA sconfessa il California Penal Code e fa crollare il castello di carta che metteva al bando «vendita e commercio di pelli (e prodotti in pelle) di coccodrillo e alligatore». Un precedente importante, non solo dal punto di vista legale
Sembra che per molti marchi sbandierare l'addio alle pelli esotiche sia diventato un semplice strumento di marketing. Sacrificio industriale? Piccolo. Ritorno di immagine? Utile
Da una parte le parole di Richemont, più volte ribadite e circostanziate all’utilizzo delle pelli esotiche. Dall’altra, quelle di Louis Vuitton, il cui CEO mette nero su bianco perché la griffe utilizza pelli di ogni genere (e anche pellicce)
5 case d’asta più importanti al mondo hanno battuto luxury bag griffate per un valore complessivo di 26,4 milioni di sterline