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Cotance saluta con favore il Decreto Pelle approvato in Italia. E augura che possa innescare un cambio di passo anche in Commissione Europea
La battaglia contro tutti i volontari utilizzi fuorvianti della parola “pelle” si preannuncia immane. E la sua complessità non deriva tanto da chi, in modo manifesto, abusa della terminologia ed è (davvero) animal free. Quanto da brand, spesso illustri, che mischiano le carte. Vi facciamo alcuni esempi
«In questo momento non c’è mercato, non c’è desiderio per la moda che credo abbia bisogno di andare in letargo», risponde a distanza Tom Ford.
Voglia di cambiare c'è: bisogna intendersi sul come. Per capire l'aria che tira nell'alto di gamma bisogna saper leggere le dichiarazioni dei protagonisti. Lo facciamo con Susanna Nicoletti, consulente delle griffe e docente universitaria
Covid cambia tutto, anche (e soprattutto) l’approccio delle griffe alla creazione delle collezioni, alla loro cadenza temporale, al modello delle sfilate. E la scelta che stanno facendo potrebbe essere, davvero, saggia. Il perché ce lo spiega Luca Solca (Bernstein)
Il rapporto con la pelle e con la nuova, possibile e (da molti) auspicata tempistica della moda rafforza l’idea creativa di Daniele Calcaterra. Lo stilista ce la spiega in questa intervista
La pandemia ha imposto alla lumaca, al nostro presente, a noi un’accelerazione per certi versi indesiderata, soprattutto perché percepita come forzata
Il canale digitale e il mercato cinese sono per il prodotto in pelle italiano la frontiera da conquistare. È vero per i grandi brand, ma soprattutto per i marchi indipendenti. Parola di Christina Fontana, Head of Fashion and Luxury - Europe di Alibaba Group
MyTuring è una startup pisana. Offre un servizio di showroom virtuale che può accompagnare le concerie nella svolta digitale
La pandemia impone la migrazione delle sfilate sulle piattaforme di streaming. Dopo l’esempio di Shanghai cambiano modello anche Milano, Parigi e Londra. Funzionerà?
Covid-19 ha rivoluzionato le modalità comportamentali dei consumatori. Per agganciarli, la strategia digitale diventa inevitabile. Ma a una condizione: “Abbattendo le barriere tra i canali online e offline”. In altre parole: unified commerce
Bianco, perché è tutto da pensare, costruire, scrivere. Tutto da scoprire nelle sue ipotetiche evoluzioni imprenditoriali e produttive, personali e sociali, psicologiche e comportamentali. Tutto da capire nel modo in cui, inevitabilmente e forzatamente, saremo costretti a cambiare. In che modo, abbiamo chiesto di immaginarlo a un gruppo di protagonisti della filiera della pelle.
Il contesto competitivo del mercato è mutevole per definizione. La fashion industry non può, poi, essere immune dai grandi eventi che stravolgono (nel bene o più spesso nel male) la nostra vita. Ma proprio perché ci è passato tante volte, tutto si può dire degli imprenditori della pelle, tranne che sono inesperti
«La vera domanda è quanto continuerà questa situazione», perché il «primo quadrimestre è stato uno dei peggiori periodi per il lusso dal punto di vista economico». Intervista a Mario Ortelli (managing partner di Ortelli&Co)
Cinesi e sceicchi che fanno shopping di aziende e brand in tutto il mondo. Brand, griffe, multinazionali, fondi, concerie e chi più ne ha più ne metta che continueranno oggi e domani ad acquisire, farsi acquisire e dare vita a conglomerati finanziari e produttivi. E lo faranno, soprattutto “i piccoli”, per «mettere in sicurezza il proprio business e il proprio futuro».
Cronologia di un anno, il 2019, durante il quale il fenomeno delle acquisizioni ha rivoluzionato l’assetto della filiera pelle e lusso, cambiandone confini e connotati. Un fenomeno che, tra l’altro, riserverà sorprese anche nel 2020
Quali sono le prospettive per le aziende indipendenti del made in Italy? E per quelle, invece, che lavorano per i grandi gruppi internazionali, senza farne parte? Ne parliamo con Romano Benini, saggista, docente e autore TV
Che cosa accomuna brand come Salvatore Ferragamo, Prada, D&G e Paul Smith? Essere rimasti (a vario titolo) autonomi. Essere gelosi della propria libertà. Ma essere sempre al centro di rumor: prima o poi capita
Le tecnologie digitali sono responsabili del 4% delle emissioni di gas serra», percentuale che potrebbe raddoppiare entro il 2025. «Nel suo complesso, Internet è responsabile di circa il 7% del consumo energetico globale. Peggio ancora: la sua fame di elettricità sale dell’8% ogni anno che passa».