Nella moda d’alta gamma il fatto a mano rimane più importante dell’automatizzato. Almeno fino a quando, spiega Brunello Cucinelli indicando l’interno della giacca all’intervistatore di Repubblica, non vedrà un robot “che arriva a cucire così”. Si fa un gran discorrere dell’impatto dell’intelligenza artificiale sulla moda, a giusta ragione. E l’imprenditore umbro, che organizza simposi nella sua Solomeo con i big della Silicon Valley, non è ostile all’innovazione tecnologica: “Non ne ho mai avuto paura. Tant’è che ho fatto entrare l’AI in azienda”. In che campi? “Per scrivere comunicazioni o per l’e-commerce, per esempio – risponde –. Ma alla condizione che chi la usa deve dichiararlo sempre”.
Il sarto-robot ancora non c’è
Rimane il punto che il sarto-robot appena evocato al momento non esiste e Cucinelli non riesce nemmeno “a immaginarlo”. Certo, le sue sono le riflessioni e le priorità di un brand dell’autentico lusso, di quelli che possono fare scelte a proposito di produzione che tanti marchi di segmento inferiore non possono condividere. Ma quello di Cucinelli è anche l’esempio di un business model che funziona bene, quindi vale la pena prestargli attenzione. È stato Reid Hoffman (fondatore di LinkedIn e co-fondatore del venture capital Greylock Partners) a parlargli per primo, racconta, dell’intelligenza artificiale. E lui ne ha tratto l’insegnamento di un approccio non improntato all’insegna della paura. Ciò premesso, la manifattura di lusso resta, per l’appunto, manuale.
I posti di lavoro
“L’IA rimpiazzerà i dipendenti?” è la domanda fatidica. Cucinelli risponde no: “Il 52% dei nostri prodotti, fino a tre anni fa, era fatto a mano. Oggi siamo al 60%”. Non solo: il gruppo umbro investe nel proprio capitale umano: “Tra pochi anni i nostri sarti guadagneranno il doppio”. Certo, rimane all’orizzonte lo spettro del robot altrettanto (se non più) bravo degli artigiani: “Se arriverà – conclude Cucinelli –, non avrò paura”.
Foto dello stabilimento Cucinelli di Penne da LinkedIn
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